Contro «l’invadenza e la maleducazione di molti extracomunitari» si devono «riservare dei posti alle milanesi così come si faceva per gli invalidi di guerra e del lavoro» disse in campagna elettorale un esponente della Lega candidato alle Europee. Era il 2009.
«Chiedete ai medici chi porta la scabbia e la tubercolosi. Non vengono dalla Svizzera, ma dall’Africa. Il daspo va dato agli immigrati che sbarcano a Lampedusa» aggiunse lo stesso esponente del Carroccio, promosso intanto segretario federale del partito, alla vigilia del voto per il Parlamento di Strasburgo. Era il 2014.
«C’è una nave della Marina militare che in acque libiche ha raccolto 40 immigrati, io porti non ne do» ha detto a due settimane dal voto europeo il leghista, diventato nel frattempo ministro dell’Interno. Era il 12 maggio scorso.
Il soggetto è sempre lo stesso: Matteo Salvini. Che sull’immigrazione, dalla scala cittadina al contesto nazionale, ha costruito la sua ascesa politica, come le dichiarazioni dell’ultimo decennio, estratte da tre momenti omogenei (l’ultimo mese di campagna elettorale), illustrano bene. Su altri temi, invece, come l’Europa e l’euro o il rapporto con Silvio Berlusconi, la linea cambia. Sapientemente adattata al momento storico.
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Migrantibasso continuo
Il 12 e 13 giugno del 2009 si vota per il rinnovo del Parlamento europeo. Nei trenta giorni che precedono l’apertura delle urne il deputato della Lega, l’allora 31enne Salvini, si mette in mostra per quella proposta (ridimensionata in seguito a semplice battuta) contro i migranti: riservare posti nel metro di Milano ai milanesi. Oltre a questo, poco altro. Cinque anni dopo alla guida della Lega c’è lui e la polemica sui migranti prosegue come un basso continuo fatto di acuti come questo: «Usiamo le navi per un blocco navale subito!» dice il futuro titolare del Viminale. Che a dieci giorni dal voto organizza un presidio ad Affi (Verona), davanti ad un hotel dove erano ospiti i migranti arrivati da Lampedusa. Oggi Salvini, da ministro dell’Interno, dice: «Chi entra in Italia deve avere il mio permesso».
Fuori e dentro l’euro
Sull’Europa e sull’euro l’approccio è cambiato. Dieci anni fa non era ancora argomento da campagna elettorale. Nel maggio 2014, invece, Salvini dedica alla”guerra all’euro” la sua prima edizione di Pontida da segretario. «Salterà, è finito, bisogna vedere se succede tra sei o nove mesi e se a uscire per primi saranno i tedeschi o i francesi – vaticinava Salvini parlando della moneta unica -. Siccome l’euro finirà i primi a uscire saranno quelli che ci guadagnano di più». E ancora: «Si salvano quei paesi che escono prima del 2015 dall’euro. Noi possiamo uscirne con due righe di decreto in cui torniamo a una moneta nazionale come faranno i francesi e gli spagnoli». E comunque «uscire dall’euro conviene. Io ho due figli, sarei un matto se per qualche voto in più mettessi a rischio il futuro dei miei figli. Una moneta giusta, una moneta italiana farebbe lavorare di più in Italia perché sarebbero più convenienti i prodotti italiani». Era l’elogio della «liretta» che «ci fa tornare a competere col resto del mondo» contro l’«eurone», moneta «troppo forte che ha massacrato la nostra economia». Discorso del tutto scomparso dalla propaganda di Salvini versione 2019 che si alimenta invece con un altro argomento: sforare il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil.
Senza e con Berlusconi
Anche sulle alleanze le posizioni sono cambiate più volte. «Se si votasse domani la Lega andrebbe da sola. Con Berlusconi in questo momento ho poco da dividere» assicurava Salvini il 12 maggio 2014. Anche perché «chi vota Berlusconi vota Merkel, sono insieme nel Partito popolare europeo». Perciò «se votassimo per le politiche non ci alleeremo con nessuno, perché anche Berlusconi non ha fatto niente per arginare i governi Monti e Letta». Per le politiche del 2018 il centrodestra tornò a ricompattarsi. Oggi, anche se Forza Italia è all’opposizione del governo tra verdi (leghisti) e gialli (pentastellati), Salvini dice che la «battaglia» in Europa si potrà «combattere sullo stesso fronte» con il Cavaliere. Il quale prontamente ha detto che il Ppe deve «cambiare e costruire un’alleanza con i conservatori, anche con Orbán e Salvini».
Comunque referendum
La retorica elettorale, però, non cambia. Come dimostrano due dichiarazioni siamesi rilasciate da Salvini a distanza di cinque anni. «Il 26 maggio non sono elezioni europee, è un referendum tra la vita e la morte, tra passato e futuro, tra Europa libera e stato islamico basato su precarietà e paura» ha detto il vicepremier domenica scorsa. «Il 25 maggio non sono elezioni ma un referendum tra il passato del partito unico dell’euro, che va da Renzi a Berlusconi a Grillo, e il futuro» aveva detto Salvini il 4 maggio 2014.
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