I commenti usciti in via riservata dagli ambienti della Difesa oscillavano tra il sarcastico (tipo: comunque il decreto è un pasticcio, non potrebbe mai passare l’esame della Corte Costituzionale) e l’irriferibile. Anche se nessuno sottovaluta il senso politico dell’iniziativa salviniana. Il Decreto sicurezza bis è un atto di profonda sfiducia nel M5S partner di Governo, che Salvini sospetta di voler sabotare la politica dei porti chiusi contro l’immigrazione irregolare. Ovvero, la più salviniana delle politiche. Non a caso lo scontro precedente (Salvini loquace, Trenta silente ma con portavoce belli arzilli) si era avuto allorché il pattugliatore “Cigala Fulgosi” aveva raccolto in mare 36 migranti che erano “in imminente pericolo di vita”. Salvini aveva attaccato chiedendo “Perché in acque libiche?”, la Marina aveva risposto sottolineando che il barcone era stato soccorso a 75 chilometri dalla costa (le acque territoriali si spingono fino a 12 miglia nautiche, ovvero 22,2 chilometri, dalla costa). Salvini aveva ribadito che i porti erano chiusi, Conte era intervenuto per dire che c’era un accordo per la ridistribuzione dei 36 in diversi Paesi europei. Poi la polemica era stata archiviata.
Prima ancora c’era stata la famosa direttiva del 15 aprile, quella partita dal ministero dell’Interno e indirizzata a Polizia, Carabinieri, guardia di Finanza ma anche agli Stati maggiori dell’Esercito e della Marina, oltre che alla Guardia Costiera. In quella direttiva Salvini mostrava preoccupazione per i movimenti della nave “Mare Jonio” dell’Ong Mediterranea e invitava a verificare che le sue attività rispettassero le leggi nazionali e internazionali sul soccorso in mare e gli ordini delle autorità italiane. La direttiva si chiudeva con una frase (“Le Autorità militari e di polizia destinatarie del presente atto ne cureranno l’esecuzione”) che fece drizzare i capelli in capo ai militari, che già si vedevano sottoposti agli ordini di Salvini. Proteste dei generali e degli ammiragli, ma non solo per spirito di corpo. Di nuovo, la questione di fondo era profondamente politica. La ministra Trenta aveva appena finito di dire che, con la guerra in Libia in pieno svolgimento, chi scappava verso l’Italia “è un rifugiato”. E alle obiezioni di Salvini, ovviamente, ma anche di altri, aveva risposto puntuta invitando tutti al ministero della Difesa, “così gli spiego un po’ di diritto internazionale”.
E poi la Trenta che intima a Salvini giù le mani dai militari, e Salvini che sta con il generale Riccò, e le missioni militari all’estero e poi e poi e poi… Insomma, ogni occasione è diventata buona. Il tutto da far risalire, volendo trovare un inizio, al 16 agosto del 2018, quando la nave “Ubaldo Diciotti” della Guardia Costiera soccorse 190 migranti in difficoltà al largo delle coste libiche. Dopo le solite litigate con Malta, che negò lo sbarco ai migranti, la nave diresse verso l’Italia, per attraccare a Catania il giorno 20.
Secondo le leggi internazionali, le operazioni di soccorso in mare possono dirsi concluse solo quando sia avvenuto lo sbarco in un porto sicuro delle persone raccolte. E lì colpì Salvini, che diede al comandante della “Diciotti” l’ordine di non far scendere a terra nessuno. La polemica si risolse solo il 26, quando tutti i migranti poterono sbarcare. Salvini finì indagato per un reato ministeriale, il tribunale dei ministri di Palermo lo accusò di sequestro di persona aggravato, al M5S toccò pure salvarlo, in Senato, dall’autorizzazione a procedere, pagando un salatissimo prezzo politico.
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