«Questo lodo è, se possibile, peggio della legge Bonafede: è un’indecente presa per i fondelli. Per il resto, abbiamo dato non il possibile ma l’impossibile. Come diceva Marco Pannella, ora accada quel che può», sospira sconsolato Giandomenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere Penali, reduce da una lunga battaglia politica e dal vittorioso confronto televisivo contro Piercamillo Davigo, tramite il quale – come ha scritto su queste pagine Francesco Cundari – l’Italia in tema di leggi sulla giustizia ha scoperto l’esistenza del contraddittorio invece della voce unica dell’Associazione Nazionale Magistrati.
Con quelle parole, Caiazza si riferisce all’ultimo accordo raggiunto dalla maggioranza in tema di prescrizione, con il quale si troverebbe, anche se obtorto collo, il via libera di Italia Viva. Un papocchio che rischia di creare il caos perché accavallerebbe l’uno sull’altro ben tre diversi regimi di prescrizione.
La novità del compromesso dell’ultima ora è l’inserimento nel decreto Milleproroghe della legge ideata dall’avvocato salernitano Federico Conte, figlio dell’ex ministro e “cacicco” craxiano Carmelo, oggi parlamentare in Leu. Trovata efficace perché Mattarella non senza molte difficoltà darebbe il via libera ad un decreto legge privo del necessario requisito dell’ urgenza.
Secondo il compromesso raggiunto (che fa storcere la bocca agli stessi contraenti), in caso di rovesciamento di una condanna in appello, il fortunato imputato avrebbe diritto al recupero del tempo trascorso tra primo e secondo grado ai fini del conteggio della prescrizione. Non è dato sapere perché mai uno sventurato (oppure «un colpevole che l’ha fatta franca», secondo il pensiero davighiano) dovrebbe avvalersi della prescrizione, avendo avuto ragione.
Del resto, se la prescrizione fosse già maturata avrebbe comunque diritto ad avvalersi della riconosciuta innocenza che lo porrebbe al riparo da eventuali richieste risarcitorie. Anche perché, oltre alla matassa – non semplice da sbrogliare – dei conteggi, ci sarebbe un ulteriore problema, è non di poco conto, riguardante la nuova normativa: la sua incostituzionalità per manifesta irragionevolezza (ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione).
Per essere inserita nel Milleproroghe, la nuova disposizione dovrà per forza prevedere che la riforma Bonafede, già entrata in vigore dal primo gennaio, venga sospesa e al suo posto sia riportata in vita e prorogata per pochi giorni la vecchia legge Orlando, già sepolta il 31 dicembre del 2019, per poi far posto al nuovo Lodo Conte.
Avete capito bene: coloro che fossero accusati di reati commessi dopo il primo gennaio 2020 si troverebbero a poter “scegliere” tra ben tre diversi regimi di prescrizione che si sono accavallati nello spazio di un mese, di cui uno in vigore per soli pochi giorni. Sempre ragionando come Davigo, se uno ha in programma di commettere un reato avrà cura di farlo nelle prossime due settimane, sicuro di poter usufruire della più favorevole Legge Orlando (prescizione non bloccata). Una situazione la cui insostenibilità costituzionale appare evidente e che richiama alla mente il caos legislativo ed istituzionale dei tempi della Repubblica di Weimar. Un compromesso giuridico che sa di disperazione.
A ciò si aggiunga il fatto che l’avvocato Felice Besostri, già parlamentare del Pd, ripetendo una iniziativa efficace ai tempi del Porcellum, ha depositato un ricorso “preventivo” (che prescinde cioè dalla effettiva applicazione della legge) per incostituzionalità della riforma Bonafede presso il tribunale di Lecce. Se il ricorso venisse riconosciuto “non manifestamente infondato”, sulla questione interverrebbe nel giro di poco tempo la Consulta. Un ulteriore ostacolo che si frapporrebbe alla faticosa marcia della maggioranza verso l’agognato traguardo delle elezioni del presidente della Repubblica del 2022, il vero collante di un’alleanza pervasa di reciproci rancori.
Non solo. Se qualcuno sperasse che la riforma del processo penale minacciata dal ministro della Giustizia possa attenuare le tensioni scaturite dal papocchio sulla prescrizione, ebbene, è meglio che si disilluda. Le misure previste, anche queste a rischio di incostituzionalità, consistono in una ulteriore diminuzione delle garanzie difensive.
Ad esempio, si pensa di abrogare una delle novità della legge Orlando, cioè quella che vieta ai giudici dell’appello di rovesciare un’assoluzione senza riascoltare i testimoni decisivi. Riforma che fu indigesta per i soliti settori reazionari della magistratura, ma che venne adottata in seguito a una serie di interventi delle Sezioni Unite e della Corte Costituzionale volti ad adeguare la legge italiana ai principi della Convenzione Europea dei Diritti umani.
Se Matteo Renzi terrà fede a quanto scrive nel suo tweet domenicale (“noi NON ci fermeremo finché gli avvocati e i magistrati continueranno a dire che le proposte di Bonafede sono incostituzionali”) il cammino del Lodo Conte non si prospetta né facile né felice. È altamente probabile che il percorso di Italia Viva possa incrociare quello delle Camere Penali.
Del resto l’Unione Camere Penali rappresenta una realtà politica, espressione di una minoranza di intellettuali dotati di specifiche competenze e forte motivazione politica, e che oggi sembra aver trovato nuove ed efficaci percorsi di comunicazione.
Ciò che non comprende il Pd e con lui la stessa Anm, fortemente condizionata dalle correnti populiste guidate dai rappresentanti in Csm Ardita, Davigo, e Di Matteo, che il tema della giustizia coincide con quello della modernità del Paese che deve sottrarsi al pericolo di una disastrosa teocrazia giudiziaria, ostile allo sviluppo liberale del paese quanto la “decrescita felice” teorizzata dai grillini. La posta è questa.
https://www.linkiesta.it/it/article/2020/02/10/lodo-conte-davigo-bonafede/45378/