Il suo governo perde i pezzi, ma la premier Theresa May non si dimette. È stata lei stessa a chiarirlo in un discorso alla nazione nel tardo pomeriggio di giovedì 15 novembre 2018, uno dei giorni più difficili di sempre per il suo esecutivo.
Il suo governo perde i pezzi, ma la premier Theresa May non si dimette. È stata lei stessa a chiarirlo in un discorso alla nazione nel tardo pomeriggio di giovedì 15 novembre 2018, uno dei giorni più difficili di sempre per il suo esecutivo. “Sono dispiaciuta che alcuni colleghi abbiano deciso di lasciare il governo, ma credo con ogni fibra del mio essere che il percorso creato è quello giusto”, ha detto May con riferimento alle dimissioni di tre ministri e due sottosegretari in polemica con l’accordo sulla Brexit. Secondo la premier, l’intesa raggiunta con Bruxelles – che ora dovrà passare l’esame del Parlamento britannico – “protegge l’integrità del Regno Unito e l’accordo pacifico dell’Irlanda del Nord, lasciando il Regno Unito ma senza un confine fisico”. “Nessuna ha proposto alternative per la Brexit, capisco che ci sono persone in difficoltà con il backstop, ne condivido alcune preoccupazioni, ma non c’e’ nessun accordo che possa essere raggiunto con la Ue che non coinvolga un backstop”, ha fatto notare May. “Questo accordo è nell’interesse della nazione, possiamo garantirlo solo se restiamo uniti. Se non andiamo avanti con questa intesa, nessuno sa cosa accadrà, si aprirà un percorso profondamente incerto”, ha sottolineato la premier.
Il giorno dopo l’approvazione della bozza d’accordo con Bruxelles sull’uscita dall’Unione europea, la premier britannica perde pezzi e ministri. Ha lasciato il ministro per la Brexit Dominic Raab, sostenendo l’impossibilità di accettare un compromesso con l’Ue. Con lui si è dimessa anche la sottosegretaria alla Brexit, Suella Braverman. Abbandonano anche la ministra del Lavoro Esther McVey, il sottosegretario britannico per l’Irlanda del Nord Shailesh Vara, che si dichiara non soddisfatto dell’accordo raggiunto sul confine irlandese, e la sottosegretaria all’Istruzione Anne-Marie Trevelyan. I dimissionari, tutti Tory, ritengono che l’accordo trovato con Bruxelles non rispetta le promesse fatte agli elettori. Aspre critiche sono arrivate anche dal Dup, il partito unionista nord-irlandese, che si è detto contrario alla decisione di avere un confine morbido tra l’Irlanda del Nord, che fa parte del Regno Unito, e la Repubblica dell’Irlanda. Secondo Nigel Dodds, l’accordo porterà alla disintegrazione del Regno Unito. Nella serata di mercoledì 14 novembre il governo britannico ha approvato la bozza di accordo sulla Brexit raggiunta il giorno precedente tra i negoziatori di Londra e quelli di Bruxelles. “L’accordo ha avuto il sostegno del governo dopo un dibattito lungo e appassionato”, ha affermato la May in un discorso alla fine della riunione straordinaria convocata per esaminare il testo dell’intesa. “È quanto di meglio abbiamo potuto negoziare, ma la decisione finale non è stata presa con leggerezza”, ha detto May. “Questo accordo rappresenta una tappa determinante per concludere questi negoziati”, ha commentato il capo-negoziatore dell’Unione europea sulla Brexit, Michel Barnier. L’accordo, un documento di 585 pagine, contiene previsioni che vanno nella direzione di una Brexit soft, che piace poco ai sostenitori più intransigenti dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Per quanto riguarda il nodo più spinoso, quello della questione nordirlandese, si è sostanzialmente deciso di posticipare la soluzione: l’Irlanda del Nord continuerà in via temporanea a far parte del mercato unico europeo fino a quando non si troverà un accordo definitivo. In questo modo si eviterà, almeno nel breve periodo, un confine fisico tra Irlanda del Nord, territorio del Regno Unito, e la Repubblica d’Irlanda, territorio dell’Unione europea.
I Brexiter auspicavano invece una netta separazione, anche dal punto di vista commerciale, tra i due paesi. In base all’accordo raggiunto, inoltre, il Regno Unito continuerà a far parte dell’unione doganale finché non si troverà un’intesa commerciale bilaterale con Bruxelles. Su questo punto, gli anti-europeisti britannici temono che Londra sia vincolata per anni al rispetto di regole europee, senza avere abbastanza voce in capitolo. Numerosi gli articoli dell’intesa dedicati alla cooperazione giudiziaria, di polizia, allo scambio di informazioni e alla protezione dei dati personali. Ci sono norme anche sul trattamento di rifiuti radioattivi. Importante l’articolo 132 che stabilisce che, entro il primo luglio 2020, un Comitato congiunto, copresieduto da Ue e Regno Unito, potrebbe decidere di estendere, senza alcun limite prefissato, il periodo di transizione, per il momento fissato al 31 dicembre 2020. In questo caso il Comitato congiunto deciderà l’entità del contributo di Londra alla Ue dal primo gennaio 2021 in avanti.
Fonte tpi.it