No, Salvini a votare non ci vuole andare. Malgrado tutti e tutto gli consiglino il contrario: l’onda del consenso europeo che la Lega potrebbe capitalizzare alle politiche, il bastone dei cinquestelle sempre tra le ruote, gli stop di Conte e i niet di Tria su guerra all’Europa e flat tax. Ma lui no, a scorno dei suoi – che la pensano quasi tutti come Giorgetti e cioè che mandare avanti questa legislatura con Di Maio e Conte è una follia – tiene il punto e ribadisce “Voglio provarci fino alla fine”. E intende dire fino alla fine della legislatura.
Perché questa ostinazione? Per due motivi soprattutto. Il primo è che Salvini non si fida di Mattarella, teme che il presidente della Repubblica di fronte a una crisi di governo prima di sciogliere le camere cerchi una maggioranza diversa in Parlamento. Il secondo è che se anche si riuscisse ad andare al voto Salvini avrebbe bisogno, per vincere, di tornare al vecchio centrodestra, di nuovo alleato con Silvio Berlusconi. E di questa ipotesi il leader leghista non vuole sentire nemmeno parlare. Ma andiamo con ordine come dicono quelli bravi.
Mattarella dicevamo. Sì, perché Salvini ricorda ancora l’estate dell’anno scorso, gli 88 giorni di faticosissima gestazione dell’esecutivo, il ruolo giocato dal presidente della Repubblica, il sospetto che il Quirinale fosse pronto a incaricare una maggioranza Cinquestelle con l’appoggio esterno del Pd senza la Lega. Ipotesi bombardata da Renzi e poi sventata ma che Salvini teme possa ripresentarsi in caso di default del governo. Magari anche incoraggiata sull’onda d’una nuova ola giustizialista dei Cinquestelle a fronte dei guai giudiziari piccoli e grandi che punteggiano la vicenda leghista di questi mesi.
Insomma il capo leghista teme, in questo gioco dell’oca che è il governo gialloverde, di tornare alla casella di partenza o di stare fermo un turno. E star fermo per uno come Salvini, che in nome dell’emergenza permanente macina seicento chilometri di media al giorno, non è la condizione ideale.
D’altra parte i timori del numero uno di via Bellerio non sono proprio campati per aria. In Parlamento, a parte i leghisti – e nemmeno tutti – non c’è praticamente nessuno che voglia togliere anticipatamente il disturbo ed affrontare la roulette russa di nuove elezioni. Con possibilità altissime di restare a casa. Le truppe parlamentari di Forza Italia sono allo sbando e soprattutto sanno che nuove elezioni segnerebbero per loro una decimazione. I renziani del Pd poi dovrebbero dare il loro addio definitivo a Montecitorio e Palazzo Madama, i Cinquestelle infine verrebbero dimezzati.
Tutti costoro dunque avrebbero un interesse concreto ad avallare un governo di scopo. Che passerebbe magari per il sacrificio della leadership di Di Maio – già azzoppata dalla sconfitta alle europee – e un nuovo direttorio favorevole a riaprire il dialogo con un Pd derenzizzato. Un governo ponte certo, ma che chissà quanto potrebbe durare, abbastanza magari da tener fuori gioco la Lega e infliggere al Capitano il guaio del calo d’attenzione e consenso.
Ecco allora spiegato il primo motivo per cui Salvini non vuole andare a votare e vuole invece proseguire la sua marcia in salita con Di Maio.
Poi c’è l’altro motivo, che si riassume in un nome e un cognome: Silvio Berlusconi. E qui un po’ c’entra la psicanalisi. Salvini vuole bene a Berlusconi, quasi quanto ne ha voluto e ne vuole a Umberto Bossi. Ma questo non ha impedito a Salvini di rottamare Bossi e ora non gli impedisce di voler rottamare Berlusconi. Chi conosce bene il Capitano spiega così: “È una questione psicologica: Berlusconi era Milano quando Salvini muoveva i primi passi in politica a Milano, era il Milan quando andava a tifare i rossoneri a San Siro, era il padrone della tv dove Matteo esordiva in pubblico alla Ruota della fortuna. Berlusconi insomma è stato l’altro padre, dopo Bossi, di cui Salvini deve liberarsi. Finché Matteo ce l’avrà davanti si sentirà sempre un ragazzo, un figlio”. E chissà se non nasca da qui la faccenda dei 60 milioni di figli.
Ma lasciamo stare: il punto è il tema del parricidio da consumare che rientra in quelle ragioni del cuore che la ragione non conosce. Anche se poi è la fredda ragione a metterci il resto. Salvini ai suoi che vorrebbero la riedizione del centrodestra a guida leghista domanda sempre perché mai il Carroccio dovrebbe siglare nuove intese con un partito, Forza Italia, ormai moribondo e soprattutto con Berlusconi, di cui il leader leghista teme la perdurante capacità manovriera in Italia e in Europa. E nemmeno è praticabile l’ipotesi di un cartello in assolo con Fratelli d’Italia.
Salvini è un impulsivo lucido e sa che per una maggioranza elettorale sovranista Lega-Fratelli d’Italia non solo non ci sono i numeri, ma in una campagna elettorale senza Berlusconi alleato Forza Italia disseminerebbe, soprattutto al sud, di patti di desistenza micidiali col Pd tali da produrre falle pesanti nel consenso leghista. E siccome, per i motivi detti, con Berlusconi non vuole tornare ecco perché Salvini vuole durare malgrado Di Maio, Conte, Tria e tutta la compagnia.
Rischia di logorarsi come accadde a Renzi che dopo le europee del 40,8 per cento s’avvitò nelle sabbie mobili dell’immobilismo? Salvini però capovolge il ragionamento: a logorarsi saranno Forza Italia – che il leader leghista vuole svuotare favorendone l’ordinata e graduale diaspora verso la Lega – e i Cinquestelle costretti a subire la sua iniziativa. E il confronto domani sarà di nuovo polarizzato tra una Lega che intanto si sarà ingoiata tutta la destra e la sinistra. Con buona pace di chi sogna resurrezioni del centro o patti di unità nazionale. Questa è la scommessa di Salvini.
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