«Fare del Pd un partito sostenibile è un punto fondamentale della nostra nuova identità». L’avevano preso sottogamba Nicola Zingaretti, quando aveva dedicato la sua vittoria alle primarie a Greta Thunberg, la giovane attivista svedese animatrice dei Fridays For Future in tutto il mondo. E pure quando aveva deciso di mettere su un manifesto elettorale – con annesso refuso – la promessa di un’Europa a zero emissioni di CO2 entro il 2050. Poi l’ha ripetuto nel suo libro-manifesto, Piazza Grande (Feltrinelli, 2019). E ora rimette di nuovo l’ambiente al centro del suo Piano per l’Italia un agenda di tre punti fondata sul taglio delle tasse per chi lavora, sull’investimento nell’istruzione e, per l’appunto, su un fondo per lo sviluppo verde da 50 miliardi, per riconvertire l’economia italiana all’eco-sostenibilità.
Missione impossibile? Libro dei sogni? «No, credo di no. Perché nella mia esperienza da amministratore mi sono convinto che la sostenibilità non è un vincolo, ma una grande opportunità di crescita: nel Lazio, con i soldi europei per l’efficienza energetica, abbiamo aperto 150 cantieri, abbiamo migliorato la qualità degli edifici scolastici e adesso risparmiamo in bolletta e inquiniamo meno – spiega Zingaretti -. Come me, aggiungo, la pensano anche tantissimi imprenditori italiani che hanno abbracciato la via della green economy, e di prodotti e processi eco sostenibili non perché sono buoni, ma perché gli conviene, perché risparmiano, perché vendono meglio». A mancare è la politica, semmai: «Otto anni fa quando dicevamo alle persone di fare la raccolta differenziata, la gente ci chiedeva “Sì, ma voi che fate?”, e aveva ragione. Noi non possiamo chiedere ai cittadini di dividere l’immondizia in quattro secchi diversi e poi fare bandi che non prevedono la differenziata o il plastic free per chi vince la gara. Noi l’abbiamo fatto, in Regione Lazio, ed è stato utile anche per dare il buon esempio».
Zingaretti, tutto molto bello. Ma sta promettendo 800mila posti di lavoro, non noccioline…
Sono tantisssimi, lo so. Ma dobbiamo uscire dalla logica che il lavoro si produce solo attraverso grandi investimenti e grandi opere pubbliche. Pensi solo al patrimonio immobiliare pubblico: se lo rendessimo efficiente dal punto di vista energetico, apriremmo migliaia di microcantieri facendo lavorare tantissime persone. O immaginiamo, anche, se da domani tutti gli apparati pubblici dovessero acquistare plastic free per le loro mense? È una piccola cosa, ma l’impatto sarebbe enorme. E creerebbe un indotto industriale altrettanto importante. Ci sono consorzi pubblici per lo smaltimento di carta e plastica che stanno salvando i loro Comuni dal dissesto finanziario e generando lavoro. Quel che voglio dire è che se riusciamo a fare tante piccole cose, tutti e tutte assieme, diventano una cosa molto grande.
Perché in Italia l’hanno capito le imprese e non la politica?
Perché le imprese investono, la politica no. Chi produce utili capisce in fretta che l’efficienza energetica rende il prodotto meno costoso e più competitivo. La politica è miope, non è lungimirante. E quelli che ci governano oggi sono i più miopi di tutti, tanto sono concentrati a guarda la punta dei piedi del presente.
Talmente miopi che non si sono accorti che c’erano 50 miliardi da spendere per progetti verdi?
Ci sono 126 miliardi in pancia dello Stato che nessuno tocca. Fanno parte del fondo investimento per le opere pubbliche delle amministrazioni centrali. Noi non li prendiamo tutti. Noi ne prendiamo 50. Li spostiamo dai capitoli di spesa cui sono dedicati, e che nessuno si sta preoccupando di far partire e facciamo diventare l’Italia un Paese verde.
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