Nella conversazione di Nicola Zingaretti col neodirettore della Stampa Massimo Giannini – dove la formula della “conversazione” rende meglio di una intervista ufficiale il senso di un certo malheur de vivre – il concetto fondamentale ci pare sia questo: va bene, il governo è quello che è ma di meglio non si può fare, e comunque stando buoni e responsabili noi andiamo avanti nei consensi. Come se in questa immensa tragedia il problema fosse quello dei sondaggi (peraltro tutti da verificare) e non quello di costruire una strategia nuova mentre si salva il Paese.
Ma d’altra parte è questa la litania che (quasi) tutti i dirigenti del Partito democratico ti dicono se gli fai presente che Conte sta affastellando una serie di errori e ritardi che rischiano di snervare un Paese già a pezzi. Non ci sono alternative, tutto il reale è razionale. Punto. Nel che si respira un’aria di rassegnazione, o di subalternità all’esistente, un sentore di mani legate, un’aria sciroccosa che rallenta i movimenti, un dubbio esistenziale sul proprio essere a cospetto del nulla.
Se si assume che la situazione è davvero così bloccata, allora è inutile avere un partito: si fa un bella associazione unitaria o un partito unico e stop. Invece l’esistenza di un partito si giustifica perché è un soggetto autonomo che lavora in una certa direzione, che si distingue in un certo modo, che ha una propria visione. Ma Zingaretti la questione non la sfiora nemmeno.
Le sue sono parole che potrebbero essere benissimo di Conte, di Patuanelli, di D’Incà, di Fraccaro. Stiamo mettendo tanti soldi, vedrete che ora andrà meglio. Certo, se i soldi non arrivassero «allora la rabbia sociale può esplodere, se la protesta deflagra poi non la controlliamo più». Ma tutto sommato, avanti così, è il nostro governo. Ma non gli viene il sospetto di lavorare per il Re di Prussia?
E dunque cosa fa il Pd in questo vortice in cui l’Italia è precipitata? Forse progetta un Paese nuovo, addirittura fa appello alle intelligenze migliori, magari si rivolge al popolo con la forza di un leader che sa dire dei no invece che dei sì a tutti? Niente di tutto questo: «Abbassiamo i toni, evitiamo polemiche». Chiane chiane, dicono a Napoli.
Ma questo è il più puro zingarettismo, pedalare da passista come se si fosse sempre in pianura. Lo stesso Giannini, che evidentemente avrebbe voluto annotare sul suo taccuino qualcosa di più memorabile, gli chiede che si intende fare oltre quello che lui definisce “galleggiamento”. Risponde il segretario: «Non so cosa ci riserva il futuro, ma so per certo che dobbiamo andare avanti. Per fare cosa? Intanto per gestire con ordine questa drammatica crisi evitando pericolose derive protestatarie». Accidenti, vaste programme! Poi, al solito, “o questo governo o elezioni”, alternativa piuttosto scarica perché è chiaro che in questa situazione non si vota.
È la prima volta che la sinistra italiana appare così rinunciataria a ipotizzare un’alternativa allo stato di cose presente. Registra le difficoltà ma allarga le braccia attendendo che passi ‘a nuttata, non ponendosi il problema di lavorare per costruire, come diceva Francesco De Martino, «equilibri più avanzati» o almeno di come si può stare una coalizione con più personalità e maggiore autonomia. O di chiamare a raccolta la parte più avanzata del Paese per costruire il programma per una nuova Italia.
Invece il Pd si barcamena nel peraltro immane sforzo di tirare la carretta di un governo che per statuto non coltiva grandi ambizioni. Perché è un governo sbagliato nel momento sbagliato: in un momento in cui l’Italia pencola verso la catastrofe o verso la rinascita, in entrambi i casi l’esecutivo giallo-rosso è infinitamente piccolo rispetto alla grandezza della fase storica.
Il segretario del Pd sa bene che i malpancisti sono anche a casa sua, da tanti amministratori locali a personalità che non si sentono valorizzate, e non può non intuire che a cospetto di altri momenti della storia della sinistra il Pd di oggi non è quell’intellettuale collettivo in grado misurarsi con una sfida gigantesca quale quella della ricostruzione. «Smettiamola con la fantapolitica e mettiamoci a lavorare», dice.
Sembra il preside che intima silenzio, qui non si fa politica. Mettiamoci a lavorare, ma per fare che? Questo nella”conversazione” non c’è scritto. Come uno spazio bianco, come il nulla che sovrasta l’essere.
Zingaretti e la raffinata strategia del Pd di far passare la nottata