Il 2022 si è chiuso portando con sé un dato significativo: secondo l’indagine di Mercer Global
Talent Trends 2022, che ha coinvolto 11.000 tra dirigenti e HR manager di aziende italiane ed
estere, ben 1 lavoratore su 2 non è soddisfatto del proprio impiego: sembra sempre più difficile
quindi attrarre e trattenere i talenti. L’insoddisfazione lavorativa dilagante, ha dato vita ad un
fenomeno, noto ai più, come great resignation o alla nuova pratica che sta iniziando a far
capolino anche in Italia, quella del job hopping: letteralmente la tecnica di “saltare da un lavoro
ad un altro”. Un trend, accentuato inevitabilmente da tutto quello che si è succeduto negli ultimi
anni a livello globale. Si stima sia un dato che è cresciuto del 30% negli ultimi quattro anni.
A trainare questo tipo di tendenze lavorative sembrano essere i più giovani, molto più critici e
attenti alla flessibilità, alla ricerca di un maggior equilibrio tra vita professionale e vita privata. Ma
anche le generazioni più “senior” stanno iniziando ad avvertire queste esigenze e bisogni,
stanchi del sovra-lavoro e a rischio burnout continuo, per la mancanza di condizioni lavorative
adeguate. Diventerà quindi una sfida e una priorità quotidiana per le aziende, ma anche per le
giovani realtà innovative, trattenere e attrarre talenti, coinvolgendoli nei processi, motivandoli e al
contempo creando senso di appartenenza. Per ridurre il turnover sarà necessario adottare
principalmente strategie in grado di aumentare l’agilità e puntare su investimenti in
programmi di formazione su tematiche all’avanguardia ed innovative, implementando
modelli di interazione personalizzata.
Per questo è importante che le organizzazioni prendano consapevolezza riguardo a questi nuovi
fenomeni e a come contrastarli. PMI e corporate italiane devono dunque accelerare sotto il
punto di vista delle pratiche innovative. Soprattutto per quanto riguarda l’attenta valorizzazione
delle persone, misurata dall’adozione di efficaci pratiche di gestione delle risorse umane.
“La filosofia vincente si chiama open innovation, ovvero la capacità di interazione con
l’ecosistema con un’ampia platea di soggetti, come imprese, startup, incubatori, università e
centri di ricerca italiani e stranieri. Un cambiamento epocale importante che va accompagnato dai
giusti investimenti. In Italia stiamo scontando ancora un grosso gap al riguardo. Ma qualcosa si
sta muovendo: a parità di talento e creatività vince l’azienda che fa anche piccoli investimenti
mirati, in termini di innovazione e formazione, verso le giuste attività per ottenere grandi
cambiamenti nel breve-medio termine” spiegano i fondatori di Startup Geeks, Giulia D’Amato e
Alessio Boceda.
Innovare come necessità: la vera sfida per crescere
L’ecosistema italiano si è mosso in ritardo rispetto ad altri grandi Paesi, ma i segnali lasciano
presagire finalmente uno spiraglio. Innovare ormai è diventata una necessità, non più una scelta.
Startup Geeks, proprio per rispondere a questo bisogno, divenuto ormai impellente, ha fondato la
divisione Startup Geeks Innovation, con l’obiettivo di fornire uno strumento in più per tutte quelle
organizzazioni che vogliono formare i propri collaboratori sui temi dell’innovazione e
dell’imprenditoria.
Nel primo anno di attività, ha sviluppato percorsi e programmi di innovazione, di formazione
e servizi dedicati ad aziende, scuole, università e pubblica amministrazione. Supportando un
totale di oltre 681 startup ed erogando più di 18.000 ore di servizi. Collaborando con realtà del
calibro di Italdesign, ENI, ELIS, NTT DATA, SISAL e CREDEM. E tra gli altri Acea, AWS, BTO,
CIRFOOD, Edison, EY, Invitalia, Regione Lombardia, TikTok, 24Ore Business School.
Arriva l’era dell’imprenditorialità interna nelle organizzazioni
Tutte queste organizzazioni hanno cercato innovazione e valorizzato talenti, da manager navigati
fino ai neo assunti, dando vita a nuovi progetti innovativi, stringendo partnership, aprendosi al
cambiamento. Per fronteggiare l’evoluzione di questa nuova epoca, in cui sono cresciute le
esigenze ma anche le nuove possibilità, le aziende più lungimiranti, non possono più sottrarsi a
programmi di aggiornamento che hanno l’obiettivo di far sviluppare al dipendente nuove
competenze nello stesso campo di lavoro.
E di veicolare l’intrapreneurship altrimenti detta imprenditorialità interna, sbloccando il
potenziale delle persone rendendole in grado di innovare e mettersi in gioco. Evitando che esse
rimangono in azienda e si limitino a fare il minimo indispensabile, creando nuovi prodotti o
servizi all’interno e adottando metodologie di lavoro che migliorano ed efficientano i processi già
esistenti.
Programmi di imprenditorialità interna: quali vantaggi?
Sbloccare il potenziale, a volte sommerso, può determinare la sopravvivenza e l’evoluzione
dell’organizzazione stessa. La necessità di innovare ha determinato la consapevolezza, che solo
aprendosi maggiormente verso l’esterno, ad esempio attraverso l’open innovation, e verso
l’interno, cioè verso i propri dipendenti, può rappresentare solo che un vantaggio.
L’imprenditorialità interna, fa in modo che le persone aspirino ad abbracciare con maggior
slancio nuove iniziative e progetti. Potendo creare idee dall’interno, si sentono maggiormente
coinvolte e motivate nello sviluppo di business ad alto valore e impatto, diventando driver di
innovazione per l’organizzazione stessa in cui operano. Rispondendo con maggiore flessibilità ai
cambiamenti, rafforzando la capacità di fare squadra e costruire network.