An anit-Brexit demonstrator reacts to the result of the vote on the Brexit deal in London on Jan. 15, 2019. MUST CREDIT: Bloomberg photo by Simon Dawson.
Pubblicato il: 22/01/2019 15:44
La Brexit rischia di cambiare completamente il volto della mobilità internazionale a fini lavorativi. Nel clima di incertezza attuale, come consiglia Bdo, network internazionale che vanta una profonda esperienza nella gestione delle risorse umane in mobilità o distaccate all’estero, è “quindi auspicabile per tutti gli europei che lavorano in Gran Bretagna, ma anche per i britannici operativi in Paesi membri dell’Ue, nonché per i datori di lavoro di queste categorie di risorse umane, interrogarsi sulle opportunità offerte e sulle differenze in materia di fiscalità e diritto del lavoro”.
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Per quanto riguarda la situazione dei lavoratori italiani all’estero, secondo gli ultimi dati Istat (Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente, dicembre 2018), spiega Bdo, “nel 2017, in cima alla classifica e nonostante Brexit, è ancora il Regno Unito, grazie anche a una fiscalità agevolata, a svettare con 21.000 emigrati italiani, seguita dalla Germania con 19.000″. “La Francia si ferma a 12.000 soggetti. In questi tre Paesi, a cui si aggiunge la Svizzera, si concentra complessivamente oltre il 60% degli espatri italiani verso l’estero”, sottolinea.
“Il 2019 -dicono gli esperti di Bdo- inoltre si attesterà verosimilmente come anno di conferma di un trend iniziato già nel 2018 e che vede molti lavoratori italiani all’estero rilocare la propria sede di lavoro in Italia e molte aziende/lavoratori esteri indicare il nostro paese come meta di distacco internazionale. Tale trend nasce ed è favorito dall’introduzione in Italia di regimi fiscali di favore per i lavoratori che (ri)acquisiscono la loro residenza fiscale in Italia: al ricorrere di determinate condizioni infatti tali lavoratori godono di una un’esenzione parziale per i redditi di lavoro dipendente prodotti sul territorio dello stato italiano”.
“Un inasprirsi del confronto Gran Bretagna-Ue non può che portare a un ‘Brexodus’, una fuga di forza lavoro qualificata dal Paese. Dipendenti e aziende, in questo momento, stanno temporeggiando nella speranza che la situazione si chiarisca ed emergano le nuove modalità di collaborazione, ma tali accordi tardano ad arrivare. Ci aspettiamo allora un’impennata di lavoratori in fuga dal Paese”, afferma Eleonora Briolini, Partner Bdo Tax & Law, facendo il punto sulle conseguenze della Brexit sui lavoratori italiani ed europei presenti in Uk.
“Allo stesso modo -prosegue Briolini- le aziende sceglieranno di spostare le proprie sedi in altri Paesi membri dell’Unione europea. È questo il momento, quindi, di valutare le opportunità che le norme di altri stati Ue possono offrire sia ai lavoratori sia alle aziende per accompagnare il processo di delocalizzazione”.
“Ci si aspetta che gli accordi di ‘divorzio’ della Gran Bretagna dall’Unione europea includano alcune misure eccezionali per talune categorie di lavoratori. In un’ottica di una hard o no-deal Brexit, tuttavia, è possibile che i lavoratori europei saranno semplicemente assoggettati alle medesime regole e restrizioni dei lavoratori immigrati da altri stati estranei all’Ue. Allo stesso modo, i lavoratori britannici che vorranno lavorare in uno Stato membro dell’Unione dovranno ottenere dei regolari permessi di lavoro o una residenza di lungo termine. Tutto ciò avrà un impatto su questioni come gli orari di lavoro, contratti temporanei, minimi salariali”, conclude Briolini.
Con la Brexit e soprattutto con il ritardo della stipula degli accordi con l’Ue e l’incertezza delle regole fiscali, gli esperti di mobilità internazionale prevedono una ‘fuga’ di aziende e lavoratori dal Regno Unito per rientrare in un altro Paese Ue. Ma a quali cose prestare attenzione per non sbagliare obiettivo? A stilare una lista di consigli ci hanno pensato gli esperti di Bdo. Ed ecco i consigli:
1) Se si è un dipendente, è innanzitutto buona norma comparare le aliquote fiscali tra i Paesi di riferimento e le leggi in materia di previdenza sociale, per capire cosa comporterà a livello monetario e personale l’uscita dalla Gran Bretagna.
2) Occorre, inoltre, chiedersi se esistono dei regimi favorevoli per i lavoratori neo residenti come ad esempio avviene in Italia e in Olanda.
3) È necessario, inoltre, considerare se le condizioni socio-economiche del Paese di destinazione: abitazioni, sistema scolastico e sistema sanitario siano paragonabili a quelli del Paese di origine. Si tratta di un aspetto importante, che incide sul reddito famigliare nel caso ci si debba trasferire con partner e figli.
4) I datori di lavoro, dal canto loro, dovrebbero assicurarsi di concedere al dipendente il giusto salario e i benefit adeguati a mantenerne inalterato, se non a migliorare, il tenore di vita, cercando per esempio di capire quali contromisure possano mettere in atto per evitare che il dipendente si ritrovi con un reddito netto inferiore rispetto a quello del paese di partenza.
5) Una particolare attenzione deve, inoltre, essere prestata ai visti e permessi di lavoro necessari se il Paese di origine o il Paese di destinazione si trovano al di fuori dell’Unione europea.
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