Sono 33.598 gli studenti sardi che nell’anno scolastico 2021-2022 hanno seguito percorsi di istruzione tecnica e professionale, pari al 46,8% del totale che hanno frequentato le scuole secondarie della regione, numeri che collocano la Sardegna al 12esimo posto nella graduatoria nazionale degli alunni che hanno compiuto questo tipo di scelta formativa. In prima posizione il Veneto con il 56,8%, mentre chiude il Lazio con il 36,2%, contro una media nazionale del 48,8%. In Italia sono circa 1 milione e 296 mila gli allievi delle scuole secondarie che hanno puntato sull’istruzione tecnica e professionale.
È quanto emerge dall’analisi, da titolo “Il valore dell’istruzione tecnica e professionale”, realizzata dall’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Sardegna, sui dati del Ministero dell’Istruzione e ANPAL 2012-2022.
Se da una parte, tra i mestieri più richiesti di sono quelli con percorsi di formazione di assoluta eccellenza come ingegneri, tecnici e specialisti di software e web-marketing, data scientist, disegnatori e stampatori 3D, programmatori quantistici, designers di wearables (dispositivi indossabili), esperti di sistemi operativi a distanza (per chirurghi, ad esempio), di cyber security, operatori di logistica automatizzata, dall’altra parte ci sono decine di migliaia di offerte per quelli “introvabili” come trattoristi, potatori, addetti al raccolto di frutta e verdura, cui si aggiungono fresatori, tornitori, elettricisti, saldatori, manutentori, termoidraulici, montatori, collaudatori ma anche modellisti, artigiani della pelletteria, ricamatrici, decoratori, intagliatori e artigiani del legno e del ferro, addetti alle confezioni, supervisioni, a controlli e rifiniture. Insomma al mercato del lavoro mancano, in due parole, le mani.
“L’analisi mette in evidenza come per sostenere l’occupazione giovanile nei principali settori del nostro tessuto produttivo – osservano Maria Amelia Lai e Daniele Serra, Presidente e Segretario di Confartigianato Imprese Sardegna – occorra puntare con più decisione sull’innalzamento della qualità dell’offerta formativa di istruzione tecnica e professionale”. “Quindi in primis è necessario intervenire sul piano della programmazione di un’offerta formativa sempre aggiornata e proiettata verso le figure professionali maggiormente richieste dal mercato del lavoro – continuano Lai e Serra – poi valorizzare l’insegnamento di competenze tecnico-pratiche, soprattutto attraverso le attività di laboratorio e la professionalizzazione dei docenti tecnici”.
Le città con il maggiore numero di studenti tecnico-professionali sono soprattutto quelle del Nord: al primo posto la provincia di Vercelli (61,3%), tallonata da Vicenza (61%), Rovigo (60,8%) e Reggio-Emilia (60,7%).
Restringendo lo sguardo sulla Sardegna è Sassari-Gallura, 10.588 alunni (42,1%), la provincia con il più alto numero di studenti che optano per un indirizzo tecnico professionale. Seguono Cagliari con 9.119 studenti (42,1%), il Sud Sardegna con 5.376 (52,4%), Nuoro con 4.896 (50,1%) e Oristano con 3.161 (50,1%).
Dall’incrocio dei dati, inoltre, affiora inoltre anche un dato particolarmente significativo: nonostante la scuola tecnico-professionale garantisca maggiori possibilità di inserimento nel mondo lavorativo, i giovani sardi continuano a preferire in larga parte il liceo. Eppure, nel 2022, il 66,9% del personale assunto in Sardegna possedeva un’istruzione tecnico professionale. Un dato che peraltro supera di gran lunga la media nazionale, ferma al 63,2% della domanda complessiva di lavoro da parte delle imprese in cerca di profili con tali caratteristiche formative.
Un ulteriore paradosso è rappresentato dal fatto che in Sardegna cresca sempre di più la necessità di figure professionali qualificate da inserire nelle imprese: se nel 2022 la quota mancante di manodopera specializzata era del 36,6%, nel 2023 la carenza si attesterà al 42,1%, con una crescita del 5,5%. Tra le imprese artigiane la difficoltà di reperimento è del 38,5%. Insomma il lavoro ci sarebbe ma i posti rimangono liberi a causa del ridotto numero di candidati, per l’inadeguatezza professionale degli aspiranti e per altre “generiche motivazioni”. La difficoltà si riscontra soprattutto, in riferimento al livello secondario, per gli indirizzi di elettronica ed elettrotecnica (59,8%), e di meccanica, meccatronica ed energia (56,2%). Per quanto concerne le qualifiche di formazione o diploma professionale, le maggiori criticità riguardano gli indirizzi di impianti termoidraulici (61,9%), elettrico (54,7%) e meccanico (51,5%).
Per ridurre l’attuale paradosso del mismatch scuola-lavoro, secondo Lai e Serra “sarebbe inoltre opportuno riservare particolare attenzione all’attuazione del nuovo Sistema di orientamento scolastico e formativo, soprattutto in riferimento al Job Placement”. “Un salvagente per le imprese artigiane è rappresentato dagli ITS, Istituti Tecnici Superiori – prosegue la Presidente Lai – perché hanno la capacità di introdurre nel mercato del lavoro le competenze ad alta specializzazione tecnologica di cui esse hanno bisogno per la transizione digitale ed ecologica”. “A maggior ragione dopo la pandemia che ha radicalmente modificato il modo di lavorare e di produrre – prosegue – e così i profili professionali di cui le imprese hanno bisogno per alimentare la ripresa si comporranno di ruoli totalmente inediti o comunque decisamente modificati. Nuovi modelli di educazione sono, e saranno, sempre componenti essenziali della progettazione e dello sviluppo di tali nuovi ruoli, mestieri e professioni: l’ITS offre una soluzione formativa strategica per sostenere la ripresa”.
“Questi Istituti potrebbero rappresentare la via maestra per i giovani per entrare da protagonisti nel mondo del lavoro, per stare al passo con le innovazioni tecnologiche della transizione digitale, per non ingrossare le fila già numerose dei giovani “neet” che non studiano non lavorano non si formano – sottolinea Serra – sono una modalità educativa con una forte identità, che ha il suo senso nel rapporto con l’impresa come luogo di formazione e di educazione. Sono importanti non solo per le singole imprese, ma per consolidare un sistema nazionale che dopo questa pandemia deve dimostrare di essere in grado di trainare l’intero Paese verso livelli di crescita sconosciuti da tempo”.
“Al fine di favorire l’occupabilità e l’inserimento lavorativo – concludono la Presidente e il Segretario regionale di Confartigianato Sardegna – il nostro suggerimento è quello di promuovere l’insegnamento delle competenze imprenditoriali, rilanciando contestualmente l’alternanza scuola lavoro e l’apprendistato duale, strumenti in grado di creare collegamenti diretti con i sistemi produttivi strategici dei territori e quindi una più facile transizione nel mondo del lavoro”.