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Fase 2: Zucchi (Sistema Impresa), ‘Paese allo stremo, spingere su politiche attive’ 

Zucchi (Sistema Impresa): Paese allo stremo, spingere su politiche attive

“Il Paese è allo stremo e la politica nazionale fatica a trovare i punti di convergenza per passare all’azione in tempi rapidi e con logiche condivise”. Così Enrico Zucchi, segretario generale di Sistema Impresa, la confederazione nazionale che riunisce 160mila imprese per oltre un milione di lavoratori, che invita a “spingere sulle politiche attive”. Si tratta in prevalenza di Pmi appartenenti al settore terziario anche se una quota rilevante di aziende opera nel manifatturiero e, in minima parte, nell’agricoltura. In Lombardia, dove Sistema Impresa è nata nel 2006, le aziende iscritte sono 20mila per oltre 120mila lavoratori. Molto radicata nel Nord-Ovest, la confederazione oggi è attiva in tutte le regioni italiane.

Dagli accordi interconfederali con Confsal sono nati nell’ambito della bilateralità strumenti molto importanti. Tra questi il Fondo interprofessionale Formazienda, al quale aderiscono 111mila aziende per 775mila lavoratori, e che proprio su indicazione delle parti sociali Sistema Impresa e Confsal ha promosso una serie di interventi per supportare le Pmi contro il Covid. Gli avvisi pubblici del primo quadrimestre hanno destinato oltre 8 milioni di euro per formare le risorse umane in risposta all’emergenza mentre il progetto ‘Prospettiva Lavoro’, finalizzato al conseguimento del marchio di qualità ‘Covid – Impresa Protetta’, intende garantire la sicurezza delle stesse imprese, dei lavoratori e dei consumatori con un budget di 20 milioni di euro nell’ambito della formazione.

“Formazienda – spiega Zucchi – è una realtà che garantisce servizi di qualità ormai indispensabili anche alle Pmi per operare con successo nella fase di transizione al digitale. Un traguardo che l’emergenza epidemiologica ha reso ancora più urgente. Le associazioni di categoria hanno una funzione anticiclica. Il loro ruolo diventa utile soprattutto nei periodi di recessione e di stagnazione quando le imprese richiedono un’azione di tutela concreta e valoriale, su scala comune ed estesa, capace di sensibilizzare tutti gli attori istituzionali chiamati a prendere le decisioni collettive dalle quali dipendono le iniziative in ambito economico e sociale. Gli strumenti della bilateralità, come appunto il fondo Formazienda, consentono di farlo in un’ottica di partecipazione unendo gli interessi delle aziende e dei lavoratori così da fornire ai decisori pubblici un quadro organico e sintetico delle priorità del mondo del lavoro”.

Quanto al decreto Rilancio, dice, “credo sia corretto intervenire con le forme classiche di sostegno ma non illudiamoci che sia questa la sola strada da percorrere”. “Anzi, per guardare avanti e puntare ad una celere riconquista della competitività della nostra economia – avverte – servono misure di investimento in grado di coniugare il binomio dell’innovazione tecnologica e della sicurezza. Azioni che lo Stato deve garantire e rendere possibili aiutando davvero le imprese sul fronte del credito, senza stringere ulteriormente le maglie della liquidità ma svolgendo un’opera reale e tangibile di affiancamento. Le Pmi non possono rimanere isolate davanti alle banche contando unicamente sulle proprie forze che peraltro, al momento, risultano drammaticamente indebolite. È su questo punto che il governo avrebbe dovuto attestarsi con iniziative molto più energiche”.

“L’Italia è affetta dal male endemico – incalza – di una politica disarticolata che non riesce a decidere. È da aprile che si parla del decreto Rilancio. Ora il governo è giunto a un testo conclusivo all’interno del quale emergono buoni propositi, come lo stop all’Iva e all’Irap, ma anche molte incoerenze. Le Pmi hanno subito un calo eccezionale della domanda di beni e servizi. Servono soldi. Ma soldi veri”.

“Bisogna quindi agire – spiega – sulla leva fiscale senza fare giochi di prestigio. Il concetto non è spostare i versamenti e gli oneri in avanti nel tempo, come si continua a fare, ma sopprimerli del tutto. Bisogna prendere atto che in questi mesi i ricavi non ci sono stati. Lo Stato, quindi, avrebbe dovuto adeguarsi ad una situazione che ha esposto le Pmi all’incapacità di far fronte agli impegni fiscali”.

E indica altre priorità per le imprese: “La ricetta, nei suoi tratti essenziali, rimane la stessa di sempre: più soldi, ma veri, e meno burocrazia. Ciò che ora fa la differenza è il fattore tempo. Che è ormai assente. L’Irap era una tassa assurda nei tempi migliori, figuriamoci oggi che siamo alle prese con una recessione di portata epocale. In merito alle partite Iva e ai professionisti i contributi risultano decisamente insufficienti. Il dualismo del nostro mercato del lavoro, in una situazione come questa, è tutto a svantaggio degli autonomi. La verità è che le Pmi non hanno più le risorse per pagare. Il governo deve intervenire con sovvenzioni tangibili. Anche la formula del credito d’imposta sugli affitti o sugli interventi per la riapertura crea solo false speranze. Non ci sarà materia imponibile. E, ripeto, lo Stato non può fare finta di niente”.

La partita del credito è cruciale. “Proprio per questo motivo – sostiene -non si può consegnare alle banche l’intero potere decisionale. Lo Stato deve garantire in modo trasparente e reale puntando a tenere in piedi le attività con lo scopo di salvaguardare i livelli occupazionali. Se si parla di ripartenza credo che l’aspetto dello sviluppo debba essere prevalente. Qui, invece, si preferisce puntare sulle politiche passive del lavoro”.

Per Zucchi, dunque, occorre “cambiare il paradigma e incentivare le politiche attive del lavoro”. “Trovo molto utile l’idea del Fondo nuove competenze in capo al ministero del Lavoro. È un primo passo per investire sulla formazione delle risorse umane conferendo più fiducia e dignità ai contratti aziendali e territoriali. Una dimensione, questa, che ha visto la nostra confederazione sempre pronta a cogliere tutte le opportunità legislative per creare le condizioni di crescita. È una finestra di dialogo importante che può essere interpretata per sviluppare risposte concrete sulla base delle esigenze più autentiche delle aziende. Questo in termini di prospettiva. Nella pratica servono soldi e azioni forti nell’ambito della sicurezza e dell’innovazione tecnologica. Ciò che sicuramente non possiamo permetterci è un secondo lockdown”, conclude.

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