Il giuslavorista Pietro Ichino
Pubblicato il: 09/06/2020 18:10
Sullo scudo penale per le aziende riguardo l’infezione da Covid-19 “concordo pienamente con quanto propone il documento” della task force di Vittorio Colao, “ma la norma va redatta con grande attenzione e precisione”. E’ l’opinione del giuslavorista Pietro Ichino, intervistato da Adnkronos/Labitalia, su uno dei punti centrali del Piano Colao presentato al governo.
“Il problema -spiega Ichino- nasce dal fatto che, per assicurare ai lavoratori un migliore trattamento economico, l’infezione da Covid-19 è stata equiparata sul piano previdenziale all’infortunio sul lavoro: si tratta di chiarire innanzitutto che questa equiparazione automatica vale solo sul piano previdenziale, e non sul piano del rapporto civilistico di lavoro, né sul piano della responsabilità penale dell’imprenditore”.
“Occorre poi precisare che la responsabilità penale dell’imprenditore è limitata all’eventuale reato di omissione di misure di prevenzione specificamente previste, ma non può estendersi al reato di lesioni od omicidio nel caso in cui il dipendente contragga il coronavirus, poiché non potrà mai dimostrarsi che il contagio sia avvenuto nell’ambiente di lavoro e non al di fuori di esso”, aggiunge il giuslavorista, già senatore della Repubblica, che proprio in questi giorni è di nuovo in libreria con ‘L’intelligenza del lavoro’, (ed. Rizzoli, pp. 256).
Secondo Ichino il piano Colao per la parte che riguarda lavoro, educazione, formazione e impresa “contiene molte idee buone, soprattutto nei capitoli cultura, scuola e formazione professionale; però forse anche un ricorso eccessivo allo strumento delle esenzioni o trattamenti fiscali di favore. E mi colpiscono alcuni capitoli mancanti”.
“Nel capitolo cultura -spiega Ichino da anni sotto scorta per le minacce Br- non ho trovato neanche un cenno alla realizzazione del grande progetto della Beic, la Biblioteca Europea per la quale il Comune di Milano ha già messo a disposizione l’area e il progetto operativo è pronto. Nel capitolo formazione, neanche un cenno alla necessità di istituire un monitoraggio capillare della qualità dei corsi, con rilevazione permanente del tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi”, sottolinea Ichino.
“E neanche un cenno agli altri servizi indispensabili per il funzionamento del mercato del lavoro, cioè quello di informazione e orientamento, che in Italia è svolto in misura assolutamente insufficiente, e quello di assistenza alla mobilità geografica e professionale delle persone”, spiega ancora Ichino.
E Ichino si aspettava anche delle proposte sul lavoro agile. “Mi sarebbe piaciuto che il documento prevedesse una semplificazione del lavoro agile, con soppressione di un adempimento burocratico privo di senso previsto dalla legge n. 81/2017: cioè l’obbligo a carico dell’imprenditore di consegnare annualmente alla persona interessata e al responsabile per la sicurezza di un documento contenente l’indicazione dei rischi generici e specifici connessi con questa forma di organizzazione del lavoro”, sottolinea Ichino.
Secondo Ichino, “se si guarda il modello di ‘comunicazione-tipo’ prodotto dall’Inail, ci si rende conto della assoluta inutilità di questo adempimento periodico. L’unico rischio connesso con il lavoro agile è quello dello stress cui la persona può essere sottoposta per il fatto di dover svolgere la prestazione nella propria abitazione, quando questa non offre un locale adatto e la presenza di altri membri della famiglia può rivelarsi di disturbo alla prestazione lavorativa”.
“Manca, inoltre, ogni accenno alla promozione dell’offerta da parte di imprese specializzate di ambienti adatti allo smart working distribuiti su tutto il territorio: la disponibilità di questi luoghi di lavoro potrebbe favorire notevolmente la diffusione di questa forma di organizzazione della prestazione, riducendo la congestione del traffico, l’inquinamento prodotto dalla circolazione degli autoveicoli e i costi per le aziende. La legge dovrebbe stabilire che in questo caso il costo del servizio deve essere a carico della datrice di lavoro di chi lo utilizza”,
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