Gino Giugni
Pubblicato il: 03/10/2019 14:59
Dieci anni fa, il 5 ottobre del 2009, moriva a 82 anni il giuslavorista Gino Giugni. Giurista, nel 1969 diviene presidente della commissione nazionale per lo Statuto dei Lavoratori e ha l’incarico di scrivere il testo che è una delle norme principali del diritto del lavoro italiano. Nel maggio del 1983 fu vittima di un attentato delle Brigate Rosse e nello stesso anno viene eletto senatore nelle liste del Partito socialista italiano. Ricopre il ruolo di presidente della commissione per il Lavoro e la sicurezza sociale, e diviene membro della commissione parlamentare inquirente sulla Loggia massonica P2.
Nel 1987 viene rieletto senatore, riconfermato presidente della commissione per il Lavoro e la sicurezza sociale e diviene membro della commissione parlamentare per le Riforme istituzionali. Dal 1993 al novembre 1994 Giugni è presidente nazionale del Psi e dall’aprile del 1993 al maggio 1994 ricopre la carica di ministro del Lavoro e della sicurezza sociale del governo Ciampi.
Nel 1994 viene eletto deputato del Partito socialista e diviene membro della commissione per l’Impiego pubblico e privato. Dal novembre 1994 è presidente del gruppo dei Socialisti italiani. Viene nominato presidente della Commissione di vigilanza sul diritto allo sciopero.
“La rilettura della straordinaria elaborazione di Gino Giugni deve servire, in materia sindacale, anche a interpretare correttamente le dinamiche delle nuove relazioni industriali. Così, vanno eliminate rendite di posizione non suffragate da elementi oggettivi di rilevazione della rappresentatività e vanno individuate soluzioni rispettose delle previsioni costituzionali in materia di efficacia generale dei contratti collettivi”. Lo dice in un’intervista all’Adnkronos/Labitalia Maurizio Ballistreri, giuslavorista e docente di Diritto del lavoro dell’Università di Messina.
“A dieci anni dalla scomparsa di Gino Giugni – sottolinea – è necessario discutere non solo sull’attualità, invero indiscutibile, dell’opera del maestro, ma anche sull’influenza che essa ha nel divenire delle relazioni industriali nel nostro Paese“. “Come è noto – prosegue – Giugni costruì la sua teoria dell’ordinamento intersindacale grazie a un fecondo confronto in ambito comparato, in primo luogo con le elaborazioni di Otto Kahn-Freund e la sua scuola di Oxford, di Hugo Sinzheimer e Karl Renner, nonché di Selig Perlman, allievo di John Commons. E’ stata questa teoria ad aver consentito al contratto collettivo nazionale di categoria la definizione di minimi uniformi, con il reciproco riconoscimento degli attori collettivi”.
“La legislazione promozionale del sindacato sui luoghi di lavoro – spiega Maurizio Ballistreri – di chiara matrice giuridica riformista completò il disegno delle relazioni industriali in Italia, conferendovi sistematicità, con il sostegno all’azione sindacale attraverso il Titolo III dello Statuto dei lavoratori, con il dialogo tra l’ordinamento intersindacale e quello statuale. Oggi, quel dialogo va aggiornato, anche alla luce di un elevato pluralismo sindacale, non sempre genuino in verità, come dimostrano i cosiddetti contratti-pirata”.
“La rilettura – commenta – della straordinaria elaborazione di Giugni deve servire, in materia sindacale, anche a interpretare correttamente le dinamiche delle nuove relazioni industriali. Così, vanno eliminate rendite di posizione non suffragate da elementi oggettivi di rilevazione della rappresentatività e vanno individuati soluzioni rispettose delle previsioni costituzionali in materia di efficacia generale dei contratti collettivi”.
“D’altronde – fa notare – Gino Giugni fu sempre un giurista che nel proprio impegno teorico coltivò il gusto per la sperimentazione e il dubbio, alieno da ogni dogmatismo e contrario ai tabù. La sua elaborazione, nel decennale della scomparsa, deve stimolare la dottrina, la politica del diritto, le parti sociali a interrogarsi sulle soluzioni migliori allo scopo di conferire stabilità ed efficienza al sistema di relazioni industriali nel nostro Paese”.
“Questo lavoro va fatto con strumenti legali che guardino al futuro e non servano a giustificare una sorta di corporativismo semi-pubblicistico, imperniato sulla nozione di ‘sindacato comparativamente più rappresentativo’, che inibisce l’ormai irrefrenabile pluralismo sindacale e sociale. Va fatto, quindi, sulla base e nel rispetto dei principi di libertà e di pluralismo sanciti dall’articolo 39, I comma, della Costituzione. Ricordare Giugni e il suo pensiero giuslavoristico deve servire anche a sviluppare il dibattito su queste tematiche”, conclude.
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