Pubblicato il: 23/09/2019 12:37
In Italia circa tre quarti dei lavoratori dipendenti sono effettivamente coinvolti in qualche forma di contrattazione decentrata. Ma se le regioni del Nord la fanno da padrone nella classifica che riguarda la diffusione di questo strumento che con la legge 208/2015 (legge di stabilità per il 2016) ha avuto un notevole slancio grazie ai benefici introdotti, tra cui in primis la detassazione per i premi di risultati, nelle regioni del Mezzogiorno, questo tipo di contrattazione è meno diffusa. Lo rivela una recente ricerca della Rur (Rete Urbana delle Rappresentanze – Urban Research Institute), centro di ricerche e progetti diretto dal sociologo Giuseppe Roma.
Su un totale di circa 40.000 contratti di secondo livello depositati a novembre 2018, infatti, ben 15.528 riguardano il complesso delle regioni del Nord-Ovest (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia), 13.975 interessano invece le regioni del Nord-Est (Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto ed Emilia Romagna), 6.732 le regioni del Centro (Toscana, Umbria, Marche, Lazio) e 3.053 il Sud e le Isole (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna).
Nel confronto con identica rilevazione effettuata nel 2016 emergono alcune differenziazioni. L’Emilia Romagna dal secondo passa al primo posto, mentre il Veneto dal quinto posto sale al secondo; il Trentino Alto Adige scende di due posizioni collocandosi al terzo posto. Anche il Friuli- Venezia Giulia passa dal quarto all’ottavo posto. Una maggiore diffusione, invece, registra il Piemonte che dal sesto passa al quarto posto. Nelle Regioni del Mezzogiorno, dove questo tipo di contrattazione è meno diffusa, sale solo la Calabria, mentre scende la Puglia che si attesa all’ultimo posto con un contratto ogni 975 dipendenti operanti in aziende attive. Un ulteriore approfondimento sulla ‘granularità’ contrattuale nei territori, evidenzia la ricerca Rur, vede le due realtà metropolitane maggiori registrare il più elevato numero di contratti firmati. Raggiungono le 5.831 unità nella Città Metropolitana di Milano pari al 53% dell’intera Lombardia, e i 2.428 in quella di Roma l’86% del valore raggiunto nell’intero Lazio. Date anche le rilevanti differenze nella base produttiva delle due aree, assume un importante rilievo il fattore metropolitano come generatore di una più intensa contrattualità fra le parti sociali.
“Bisogna tener conto che alcuni istituti riguardano anche la conciliazione di genere o i costi familiari del welfare particolarmente elevati nelle realtà metropolitane. Ciò è confermato anche dalle posizioni successive detenute da Torino con 1.892 contratti (54% del totale regionale) e Bologna con 1.695, che tuttavia rappresenta solo il 26% del totale regionale”, spiega la Rur. Si conferma policentrico il sistema veneto dove Padova e Vicenza complessivamente coprono il 43% dell’insieme dei contratti decentrati.
La doppia modalità contrattuale ‘aziendale’ e ‘territoriale’ ha consentito una diffusione dei contratti decentrati anche a realtà produttive di piccole e medie dimensioni. Lo studio non consente di effettuare una verifica sulla natura negoziale dei contratti, e i testimoni privilegiati segnalano anche la possibile presenza di contratti spuri. Tuttavia, la distribuzione dei contratti di secondo livello per numero dei lavoratori beneficiari indica come quasi la metà degli accordi hanno riguardato gruppi inferiori ai 50 dipendenti, per il 26,8% fra 50 e 149 lavoratori, il 9,5% fra 150 e 249, il 7,7% fra 250 e 499 lavoratori e ben il 6,9% oltra i 500 dipendenti, ovvero contratti di secondo livello sono presenti in 2.717 grandi aziende. Una stima puramente esemplificativa, basata sul valore ponderale della distribuzione in classi, valuterebbe in 9,3 milioni i lavoratori dipendenti di imprese attive, coinvolti a vario titolo nella contrattazione di secondo livello.
Le principali motivazioni che hanno indotto le parti a realizzare contratti di secondo livello sono sintetizzabili nell’opportunità di beneficiare di incentivi e vantaggi fiscali (69%), l’esigenza di procedere alla riorganizzazione dei sistemi produttivi aziendali (65%), la necessità di accrescere la competitività aziendale (63%); tali elementi sono anche il risultato di un cambiamento culturale nelle relazioni industriali (52%), con una spinta delle parti sociali (54%), spesso indotte anche dall’esigenza di far fronte a situazioni di crisi aziendali (51%).
Per il 51,8% degli intervistati da Rur, gli accordi aziendali o territoriali nell’area di riferimento vengono giudicati in modo positivo (10,8% molto positivo, 41% positivo). Per il 32,5% degli intervistati sono risultati ininfluenti in quanto non hanno determinato alcun significativo cambiamento, mentre il 15,6% dà un giudizio negativo. E guardando all’atteggiamento delle due componenti contrattuali, emerge, spiega la ricerca, “una sostanziale omogeneità sul giudizio positivo che resta maggioritario sia per le organizzazioni datoriali che sindacali”. Queste ultime, tuttavia, danno una valutazione negativa per il 20,5% rispetto al 15,7% medio, mentre quelle datoriali accentuano il giudizio di un impatto sostanzialmente ininfluente per una quota del 35,5%,rispetto al valore medio del 32,5%.
Entrando più nel dettaglio delle valutazioni, il 63% degli intervistati pensa che la contrattazione decentrata sia utile per migliorare le relazioni industriali e un ulteriore 23,8% la giudica uno strumento valido per dare più spazio al merito in azienda; di contro, il 4,7% ritiene che rappresenti un rischio per i diritti dei lavoratori e un ulteriore 8,3% uno strumento che può creare disparità nelle condizioni lavorative o territoriali
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