Pubblicato il: 06/11/2019 14:58
Non solo Ilva. In tutto il Paese, da Nord a Sud, ci sono centinaia e centinaia di vertenze aziendali che riguardano migliaia e migliaia di lavoratori. Ma che non hanno il risalto mediatico del polo siderurgico tarantino. Vertenze, dalla chimica alla Gdo, dalla gomma-plastica al tessile, che si trascinano in alcuni casi da anni, nonostante gli oltre 150 tavoli aperti al Mise. E altre che stanno scoppiando negli ultimi mesi, sulla scia di una crisi industriale da cui il Paese non riesce ad uscire.
“Ci sono -spiega ad Adnkronos/Labitalia, Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec, la federazione sindacale dei lavoratori dell’industria tessile, dell’energia e della chimica- situazioni diverse sul territorio: alcune le stiamo risolvendo, come ad esempio la vertenza dello storico marchio de La Perla. Altre preoccupano, come la Treofan, con gli indiani del gruppo Jindal che sono scappati via e hanno chiuso lo stabilimento di Battipaglia, e adesso stanno mettendo in dubbio quello di Terni. L’azienda ha anche un altro stabilimento in Italia, a Brindisi, e conta in totale circa un migliaio di lavoratori”, sottolinea Pirani.
E anche quelle realtà industriali che potrebbero portare innovazione e sviluppo incontrano invece rallentamenti. “Ci sono alcuni siti industriali -spiega Pirani- per i quali va data una prospettiva. Come la raffineria di Gela con il progetto di Eni per la riconversione verde che va a rilento per problemi autorizzativi. E per quanto riguarda la Sardegna per il progetto Matrica, nato dalla collaborazione tra Eni e Novamont per la produzione di sacchetti di plastica, e anche lì tutto è fermo”.
Alcune norme inserite dal governo in manovra potrebbero anche aggravare, per il sindacato, la crisi di alcune aziende. “La crisi sta investendo tutta una serie di aziende del settore della plastica, e le tasse del governo sulla plastica monouso non faranno che aggravare questa crisi”, spiega Pirani. “E poi ci sono tante aziende del tessile in crisi, ad esempio nel Biellese. Ci sono tante aziende che non hanno l’impatto mediatico dell’Ilva, ma che sono anch’esse in crisi con migliaia e migliaia di lavoratori a rischio”, sottolinea ancora amaro.
E le novità introdotte al Mise già con il primo governo Conte non hanno portato i risultati sperati. “Oggi non c’è più l’unità di crisi per le vertenze che era stata costituita -spiega Pirani- prima alla presidenza del Consiglio e poi successivamente al Mise. E secondo noi era necessaria, tanto che l’idea è di ricomporla come cabina di regia al Cnel, fatta dalle parti sociali. L’utilità dell’unità di crisi era che si muoveva senza dipendere dalla burocrazia ministeriale, tanto che era presieduta da soggetti privati, prima Borghini e poi Castano, e questo aiutava perché permetteva di avere uno strumento agile capace di prendere decisioni velocemente come richiedono le vertenze. Invece adesso abbiamo i direttori generali del ministero che hanno giustamente tempi diversi”, sottolinea ancora Pirani. Ma il sindacato non arretra. “Noi vogliamo incontrare a breve il ministro Patuanelli per fare il punto su tutte le crisi che riguardano i nostri settori”, conclude Pirani.
Ma la crisi ‘morde’ anche nella grande distribuzione organizzata, dove a far tremare tanti lavoratori sono gli effetti della fusione tra i due colossi Auchan/Conad. “Ad oggi la situazione degli esuberi per questa vertenza -racconta ad Adnkronos/Labitalia Marco Marroni, segretario nazionale del sindacato di categoria Uiltucs- è stimabile in circa 3.400 addetti. Questa è una vertenza che può avere effetti devastanti sui territori, in particolare ad esempio Campania e Sicilia, dove ci potremmo trovare centinaia e centinaia di persone in mezzo a una strada a Napoli come a Catania o Palermo”.
I primi lavoratori a restare a casa potrebbero esserci già dalle prossime settimane. “Conad ci ha annunciato che per i 109 punti vendita che saranno trasferiti sotto le nuove insegne nelle prossime settimane, 8 di questi avranno 310 esuberi”, spiega Marroni. Un’accelerazione della vertenza che non va giù al sindacato. “L’azienda ci aveva annunciato che quello che loro chiamano ‘rilancio’ dell’azienda si sarebbe completato in due-tre anni, adesso hanno detto -spiega- che si deve completare entro il 2020. E questo ci fa considerare a rischio i lavoratori delle sedi centrali, a partire da Rozzano, che sono circa 1.000”.
“E poi ci sono circa 40-50 punti vendita per i quali non si trovano acquirenti e che contano altri 2000 addetti. E la nostra preoccupazione è che Conad si presenti da noi a fine 2020 dicendo il buco di bilancio da 300 milioni è diventato mezzo miliardo, noi non ce facciamo arrivederci e grazie”, sottolinea amaro Marroni.
La speranza per il sindacato è nel ruolo del Mise. “Conad fatica a dare risposte su alcuni temi, ha chiesto un incontro riservato al Mise e speriamo che lì dia quelle risposte che non vuole dare in seduta plenaria. Quello che possiamo dire è che il Mise è fortemente preoccupato da questa vertenza e si è mostrato giù collaborativo sulle politiche attive per la ricollocazione di quei lavoratori già annunciati da Conad come esubero”, conclude.
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