Gino Giugni
Pubblicato il: 07/01/2020 13:57
“Non c’è un solo evento importante nella politica del lavoro del secolo scorso che non abbia avuto Gino Giugni come ideatore e protagonista” e il “merito principale del Maestro rimane quello di aver fondato il moderno diritto sindacale, mediante un’operazione di carattere culturale che ebbe il senso di una vera e propria rivoluzione copernicana”. Così Giuliano Cazzola, a lungo sindacalista, giuslavorista e già deputato, ricorda, in un contributo pubblicata dalla rivista ‘Lavoro Diritti Europa’, la figura di Gino Giugni, scomparso più di 10 anni fa e padre dello Statuto dei Lavoratori, entrato in vigore 50 anni fa.
Giugni era, ricorda Cazzola, “socialista riformista (e, in quanto tale, fu vittima di un attentato delle BR, che sarebbe potuto essergli mortale), per diverse legislature senatore, presidente della commissione Lavoro di Palazzo Madama, poi ministro della Repubblica del Governo Ciampi e promotore del Protocollo del 1993 che tanta influenza ha avuto nel campo delle relazioni industriali e soprattutto nella definizione di una politica salariale in senso antinflazionistico che ha consentito, insieme ad altri fattori, all’Italia di entrare fin dall’inizio nel club della moneta unica”.
Nel 1970, anno in cui viene varato lo Statuto dei Lavoratori, prosegue, “era ‘soltanto’ capo dell’Ufficio legislativo prima del ministro Giacomo Brodolini, poi, dopo la sua morte, di Carlo Donat Cattin”. “Ma quella legge fondamentale -osserva Cazzola- è legata per sempre al nome di Giugni perché sue furono le intuizioni (a partire dal suo contributo, dal ministero, al rinnovo del contratto dei metalmeccanici del 1969) che diedero a quel provvedimento un carattere fortemente innovativo per la cultura giuridica”.
Questo “grazie ad un’impostazione che affidava il riconoscimento dei diritti dei lavoratori ad un ruolo promozionale dell’azione del sindacato, introducendo nel tradizionale diritto positivo italiano modelli propri della common law e dell’esperienza americana che tanto aveva inciso sulla sua formazione, fin da quando, appena laureato, aveva avuto l’opportunità (grazie ad una borsa Fulbright), insieme a Federico Mancini e a Giorgio Bernini, di una permanenza di studio negli Usa”, ricorda ancora Cazzola.
“Di Giugni -aggiunge Cazzola- vanno ricordati, poi, altri contributi importanti, come ad esempio, l’aver diretto la commissione tecnica che elaborò la riforma del tfr all’inizio degli anni ’80, evitando il ricorso ad un referendum con effetti devastanti”.
E ancora. “Oppure l’ultimo impegno che assolse con la solita lucidità e l’infinita cultura giuridica, quando il primo Governo Prodi gli chiese di presiedere una commissione composta dai migliori giuristi italiani, tra cui Massimo D’Antona e Marco Biagi, che elaborò, all’inizio del 1997, una relazione sulla riforma della contrattazione collettiva colpevolmente ignorata dalle parti sociali, benché le proposte che vi erano contenute prefigurassero già il disegno tracciato (molti anni dopo) dagli accordi interconfederali più recenti”.
Ma il merito principale del Maestro, afferma Cazzola, “rimane quello di aver fondato il moderno diritto sindacale, mediante un’operazione di carattere culturale che ebbe il senso di una vera e propria rivoluzione copernicana”. “La Costituzione aveva risolto le questioni cruciali della rappresentanza e della rappresentatività sindacale e dell’efficacia erga omnes dei contratti di lavoro nel testo dell’articolo 39 che però giaceva, per tanti motivi, inattuato nonostante che ogni ministro del lavoro avesse cercato di sbloccare la situazione di stallo con un proprio disegno di legge”, spiega Cazzola.
Già nel 1960, Giugni a soli 33 anni diede alle stampe il libro da cui emersero, grazie alla applicazione della teoria degli ordinamenti giuridici al diritto sindacale, una nuova visione e una diversa interpretazione della materia. “Di Giugni si potrebbe parlare a lungo senza mai esaurire l’argomento”, dice Cazzola che riporta un ‘botta e risposta’ che il grande giurista ebbe con uno studente, durante una conversazione sui temi del lavoro. “Ad uno studente che gli chiedeva ‘Lei sta dunque affermando che i fondamenti etici della Costituzione rimarranno invariati?’, Giugni rispose: ‘La sua domanda contiene in sé un’efficace risposta: i fondamenti etici non verranno variati. Fin tanto che la Costituzione repubblicana del 1948 rimarrà in vigore, noi avremo la certezza che i suoi principi etici funzionano e, soprattutto, che hanno un rilevante grado di effettività'”, riporta Cazzola.
“Nel momento in cui tali fondamenti muteranno -disse Giugni allo studente- insieme alle corrispondenti istituzioni, ci troveremo di fronte a fenomeni ai quali sarò contento di non assistere: mi auguro per voi che non accadano episodi di crisi delle istituzioni tali da mettere in dubbio questi principi etici”. “Purtroppo, ‘episodi di crisi delle istituzioni’ sono avvenuti. Per sua fortuna Gino ha potuto non assistervi, perché convocato dall’Onnipotente a ricoprire la cattedra di diritto del lavoro nell’Ateneo dei Campi Elisi”, conclude Cazzola.
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