Domani un seminario dell’Inapp con i principali attori del mondo del lavoro prova a tracciare il futuro del lavoro agile che ha coinvolto oltre 8 milioni di italiani in pieno lockdown
FADDA: “La modalità telematica è stata fondamentale per salvaguardare migliaia di posti di lavoro, tuttavia non c’è stata una vera e propria evoluzione organizzativa all’interno delle unità produttive pubbliche e private; e lo smart working non è stato altro che un eseguire da casa le medesime mansioni che si svolgevano in ufficio”.
Roma, 24 febbraio 2021 – Se prima dell’emergenza del coronavirus erano appena 570mila i lavoratori che ricorrevano allo smart working nella fase più acuta della pandemia, in pieno lockdown, sono stati oltre 8 milioni gli italiani che hanno dovuto cambiare il modo di lavorare. Se questo ha permesso alle aziende di proseguire le proprie attività produttive, contenendo anche il fenomeno dei contagi da Covid-19, è altrettanto vero che lo smart working è sembrato essere più un lavoro “forzato” a distanza che un vero e proprio “lavoro agile”. Lo smart working in questi mesi è quindi vissuto in una sorta di limbo “tra mito e realtà”.
Per capire quelle che sono le prospettive future, tra normazione legislativa e ristrutturazione dei processi, l’INAPP ha organizzato per domani 25 febbraio alle ore 15.00 un seminario online a cui parteciperanno insieme al presidente dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, prof. Sebastiano Fadda, il presidente dell’ARAN, Antonio Naddeo, il direttore delle relazioni industriali di Confindustria, Pierangelo Albini, la segretaria confederale della Uil, Tiziana Bocchi, l’esperta di organizzazione aziendale Anna Maria Ponzellini e il giuslavorista Arturo Maresca.
“La modalità telematica è stata fondamentale per salvaguardare migliaia di posti di lavoro – ha spiegato il prof. Sebastiano Fadda – tuttavia non c’è stata una vera e propria evoluzione organizzativa all’interno delle unità produttive sia pubbliche che private; e lo smart working per molti lavoratori non è stato altro che un eseguire da casa le medesime mansioni che si svolgevano in ufficio. Tutto questo ha comportato molti vantaggi ma ha anche evidenziato molti problemi, primo fra tutti quello ben noto del diritto alla disconnessione. Sappiamo che al di là della pandemia il mondo del lavoro è destinato a mutare profondamente: la flessibilità connessa al lavoro da remoto spesso ha giovato alle imprese anche in termini di produttività ma spesso si è anche trasformata per i lavoratori in una “gabbia” dove sono state sacrificate la socialità e quell’interazione face to face che può avvenire solo in presenza. In più, se la strada dello smart working sembra segnata è necessario insistere sulla formazione del personale e sulle competenze dei lavoratori. Con questo seminario cercheremo di definire problemi e prospettive che potranno servire ai policy maker e agli operatori per far diventare lo smart working uno strumento capace di migliorare la qualità del lavoro e la produttività delle imprese”.