Scarseggiano operai e artigiani, personale della ristorazione e addetti specializzati nell’edilizia. La mancanza di manodopera è un problema sempre più evidente nel mercato del lavoro italiano, eppure c’è una soluzione “win-win” che gioverebbe a imprese e lavoratori: il contratto d’apprendistato che prevede esoneri contributivi e sgravi fiscali per chi assume con la possibilità di formare il proprio lavoratore e quest’ultimo che viene assunto con un contratto a tempo indeterminato, poiché tale è l’apprendistato, e può aspirare a proseguire come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a conclusione del percorso di formazione in alternanza, contribuendo così anche ad abbattere il fenomeno della precarizzazione.
“Abbiamo una carta importante da giocare per il mercato del lavoro, ma stentiamo ad utilizzarla. L’apprendistato potrebbe essere uno strumento fondamentale per rispondere a quella domanda di figure professionali che ancora mancano sul mercato, eppure stenta a decollare” ha spiegato il prof. Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) presentando il policy brief che riprende i risultati dal XX Rapporto sull’apprendistato che l’Inapp realizza per conto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in collaborazione con l’Inps.
Malgrado i notevoli progressi evidenziati negli ultimi anni, dal 2016 al 2019 il numero medio di rapporti di lavoro in apprendistato è cresciuto ininterrottamente (+47% circa in tre anni), questo tipo di contratto è ancora largamente sottoimpiegato. Nel 2020, poi, il Covid ha costretto a una battuta d’arresto: il numero medio di rapporti di lavoro è risultato pari a 531.035 con una diminuzione del 5,4% rispetto all’anno precedente. La riduzione riguarda tutte le ripartizioni geografiche, ma risulta più consistente al Centro (-8,1%) e al Nord Est (-6%).
L’impatto della crisi pandemica nel 2020 si coglie soprattutto dalla contrazione, superiore al 30%, del numero di rapporti di lavoro avviati, pari a 274.641 (erano stati 398.622 nel 2019). Allo stesso tempo – anche per effetto del blocco dei licenziamenti e del ricorso alla CIG Covid-19 – si assiste ad una rilevante contrazione delle cessazioni dei rapporti di lavoro: 150.080, in diminuzione del 24,7% rispetto all’anno precedente che aveva fatto registrare un aumento del 10,5% rispetto al 2018.
Ma si registrano criticità anche sul fronte degli adempimenti previsti dal contratto. In particolare, per quanto riguarda la formazione dell’Apprendistato professionalizzante, la tipologia più diffusa delle tre forme di apprendistato (con un peso pari al 97,7% dei casi).
Nel corso degli ultimi dieci anni il tasso di copertura – ossia il rapporto tra gli apprendisti con contratto professionalizzante inseriti nei percorsi di formazione pubblica e il numero complessivo di apprendisti occupati con la stessa tipologia contrattuale – è stato di circa il 30%. Nel 2020 il rapporto scende ulteriormente (22,4%) a causa del divieto stabilito dall’Ispettorato nazionale del lavoro, per gli apprendisti beneficiari della cassa integrazione, di svolgere l’attività formativa, poiché nel periodo di erogazione della CIG Covid-19 risultava sospeso sia il rapporto di lavoro che l’obbligo formativo.
Lo stesso stanziamento nazionale per il finanziamento della formazione in apprendistato professionalizzante è stato gradualmente ridotto, dai 100 milioni di euro del 2011 ai 15 milioni per le annualità 2017 e seguenti. Questo ha spinto Regioni e PA a limitare a loro volta l’impegno a sostegno dell’offerta formativa: in dieci anni, dal 2011 al 2020, il livello di spesa si è ridotto di circa il 40%.
Questa progressiva riduzione della valenza formativa ha indotto molti esperti a considerare l’apprendistato più simile ad un contratto di inserimento al lavoro che a un contratto a causa mista. “Tuttavia – ha sottolineato il presidente dell’Inapp – almeno sino a quando il professionalizzante rimarrà la tipologia prevalente di apprendistato, con un numero medio di rapporti di lavoro che anche nel 2020 era superiore a 500mila, sarebbe opportuno che la sua componente formativa, esterna e interna all’azienda, fosse in grado di promuovere lo sviluppo di competenze utili a facilitare l’inserimento e la permanenza al lavoro dei giovani e di rispondere alle esigenze del sistema produttivo”.
Nel corso degli ultimi anni l’attenzione si è spostata sulle tipologie di apprendistato a maggiore valenza formativa che portano al conseguimento di un titolo di studio, con l’obiettivo di costruire una “via italiana al sistema duale” e avvicinare l’Italia alle migliori pratiche europee. E, in effetti, dal 2016/2017 si osserva una crescita continua degli apprendisti inseriti nei percorsi che rilasciano titoli del secondo ciclo di istruzione (primo livello) e dell’istruzione terziaria (terzo livello), ma il loro peso è molto limitato (nel 2020 sono 8.823 gli apprendisti in formazione di primo livello e 805 quelli di terzo livello) e concentrato in poche regioni. Si tratta di numeri che restano molto lontani dalle buone pratiche di duale in Europa. L’analisi delle traiettorie di evoluzione dei sistemi duali europei suggerisce di puntare, anche in Italia, al miglioramento della qualità e della governance dell’apprendistato duale e alla promozione, in un’ottica di lifelong learning, dell’integrazione orizzontale e verticale delle filiere formative verso l’istruzione terziaria, accademica e professionalizzante.