Decontribuzione Sud, apprendistato, incentivo donne, esonero giovani. Sono solo alcuni degli incentivi messi in campo dallo Stato a favore delle imprese che nel 2021 hanno generato il 24% delle nuove attivazioni contrattuali (poco più di un milione e 700mila) sugli oltre 7 milioni di nuovi contratti. Incentivi che hanno prodotto più lavori a termine, più part time (44%) che spesso è involontario, ovvero non scelto ma imposto al lavoratore per far ingresso nel mercato del lavoro, con la relativa fragilità contrattuale. È quanto emerge dal policy brief che l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) ha dedicato al ruolo degli incentivi all’occupazione nel 2021.
Nel dettaglio il contributo maggiore fornito alla nuova occupazione è arrivato con l’incentivo Decontribuzione Sud che ha determinato il 65,6% dei nuovi contratti agevolati (il 71% di quelli maschili e il 57% di quelli femminili), seguito dall’apprendistato che incide per il 21,2% senza differenze di genere. Da segnalare, il contributo dei due incentivi rivolti a target specifici: Incentivo donne (nelle due forme L92/12 e L178/2020) che ha inciso per il 4,8% ed Esonero Giovani che ha contribuito per il 5,8%, mentre il restante 2,6% è determinato da altre misure d’incentivazione.
“Escludendo l’apprendistato – che ha dato origine per l’86% a contratti di analoga natura e l’Esonero giovani che opera nello specifico caso dell’occupazione a tempo indeterminato (compresa la somministrazione) – si legge nel Policy Brief – gli incentivi che invece consentivano di attivare sia rapporti a tempo indeterminato sia rapporti a termine o discontinui (come Incentivo donne e Decontribuzione Sud), non hanno corretto, ma riprodotto, il quadro e le relative criticità presenti nelle assunzioni non agevolate. Ci riferiamo alla prevalenza del lavoro a termine e dell’orario ridotto”.
In particolare Il 55 % dell’occupazione creata da Decontribuzione Sud è a tempo determinato contro il 16% di quella a tempo indeterminato, superata anche dal lavoro stagionale (18%). Questo schema si ripete sia per uomini che per donne, ma si segnala una incidenza maggiore del lavoro stabile per gli uomini (17% contro 13 %) e del lavoro stagionale per le donne (23% contro 16%). Le nuove assunzioni di donne effettuate con Decontribuzione Sud, che sono il 34% del totale, continuano ad essere in numero inferiore a quelle degli uomini e con una maggiore precarietà e discontinuità. Se osserviamo, invece, l’incidenza del part time sui due gruppi distinti di assunzioni agevolate e non agevolate si nota come la presenza di un’agevolazione non abbia offerto un correttivo a questo fenomeno. Infatti, di tutte le assunzioni agevolate sono a part time il 44%, mentre in quelle non agevolate sono a part time il 35%. Ma si tratta in entrambi i casi di un fenomeno prevalentemente femminile: è a part time il 60% delle assunzioni agevolate femminili contro il 33% maschile, mentre in quelle non agevolate è a part time il 48% delle donne e il 26% degli uomini. Nessuna inversione di tendenza viene offerta dagli incentivi rivolti esclusivamente all’assunzione di donne: sono infatti a part time il 63% dei contratti attivati da Incentivo donne L92/2012 e il 69% di quelli ex L 178/2020.
“L’emergenza pandemica, la prospettiva di una recessione associata al conflitto in Ucraina, insieme alla pericolosa spirale inflazionistica che colpisce i salari sono tutti fattori che rischiano di impoverire ulteriormente il lavoro, accentuando le diseguaglianze. – ha spiegato il prof. Sebastiano Fadda, presidente INAPP – Questo studio dimostra che la strada degli incentivi alle imprese, che pure è utile in un momento di crisi economica, va valutata attentamente non solo nella sua capacità di generare aumenti netti e permanenti dei livelli occupazionali ma anche nella sua capacità di operare selettivamente per favorire (o sfavorire) particolare fasce di forza lavoro o particolari tipologie contrattuali. È necessaria una profonda riflessione sulla strategia competitiva che molte imprese applicano da anni, basata sulla compressione del costo del lavoro attraverso l’accentuazione di una flessibilità spuria. È necessario orientarsi verso modelli di flessibilità che garantiscano abbattimento dei costi di aggiustamento delle imprese e riallocazioni della forza lavoro senza compromettere la dignità del lavoro. Per ridare dignità al lavoro gli incentivi dovrebbero premiare quelle imprese che scommettono sul futuro e non sulla precarietà”.
“Recuperando il suo intento originario di politica pubblica agevolativa – si legge nel documento – l’incentivo, quindi, dovrebbe avere la forza effettiva e simbolica di favorire un’inversione di tendenza, o per lo meno un fattore di mitigazione di una dinamica distorsiva ormai radicata nel mercato del lavoro italiano. Perché se anche l’incentivo continua a intrappolare i target più fragili nel mercato del lavoro (come le donne) in impieghi a termine, ad orario ridotto e conseguentemente a minore redditività, appaiono esaurite tutte le possibilità di invertire questa tendenza per via di politica pubblica. Si tratta di promuovere un disegno di policy making che riassegni agli incentivi il ruolo più adeguato nel complesso di una più generale politica di sostegno all’occupazione. Primo, assegnando al versante delle politiche industriali e strategiche il vero ruolo di player nello sviluppo occupazionale e non alle probabili convenienze economiche e fiscali delle imprese in specifiche congiunture. Secondo, assegnare all’incentivo la funzione di strumento correttivo delle dinamiche di reclutamento ordinarie, che giustifichi una spesa pubblica di stimolo al raggiungimento di una finalità più alta e importante della creazione di nuova occupazione tout court” conclude il policy brief dell’Istituto.