Manifestazione a favore dello Statuto
Pubblicato il: 07/01/2020 12:58
Spegnerà 50 candeline il prossimo 20 maggio la legge 300 del 1970, meglio conosciuta come Statuto dei Lavoratori, una delle normative principali della Repubblica Italiana in tema di diritto del lavoro. L’approvazione dello Statuto costituisce, infatti, uno degli interventi legislativi più importanti avviati in Italia in materia di lavoro, con l’obiettivo di garantire il rispetto della libertà e della dignità del lavoratore nel rapporto di lavoro e di assicurare nei luoghi di lavoro la presenza sindacale per il rispetto della normativa stessa.
Lo Statuto dei Lavoratori, che in larga parte si deve al lavoro del giuslavorista Gino Giugni, arriva nel 1970 al culmine di una stagione di risveglio sociale che aveva scosso l’Italia: il ’68, la stagione di unità sindacale apertasi con le rivendicazioni contrattuali, il ruolo della grande impresa italiana, spesso impreparata di fronte alle lotte operaie, ma anche e soprattutto l’incidenza che ebbero alcuni protagonisti, come Giacomo Brodolini, Carlo Donat Cattin e lo stesso Giugni, nel far diventare norme i diritti elementari nei posti di lavoro.
“Una vera rivoluzione copernicana”, come l’ha definita un esperto di politiche del lavoro quale Giuliano Cazzola: lo Statuto dei Lavoratori ha, infatti, introdotto importanti e notevoli modifiche sia sul piano delle condizioni di lavoro che su quello dei rapporti fra datori di lavoro, lavoratori (con alcune disposizioni a tutela di questi ultimi) e rappresentanze sindacali.
Per oltre quaranta anni l’impianto statutario originale ha retto alle profonde trasformazioni della società e dell’impresa. Nello scorso decennio la legge originaria ha subito, invece, diverse modifiche ma, di fatto, lo Statuto dei Lavoratori costituisce ancora l’ossatura e la base del diritto del lavoro in Italia.
Lo Statuto dei Lavoratori si compone di 6 Titoli e di 41 articoli. Il titolo I (articoli 1-13) disciplina diritti e divieti volti a garantire la libertà e dignità del lavoratore; in particolare in materia di libertà di opinione del lavoratore (art. 1), regolamentazione del potere di controllo (artt. 2-6) e disciplinare (art. 7), di mansioni e trasferimenti (art. 13).
Il titolo II (artt. 14-18), dedicato alla libertà sindacale, nell’affermare e disciplinare il principio cardine del diritto di costituire associazioni sindacali nei luoghi di lavoro e di aderirvi (art. 14), sancisce la nullità degli atti discriminatori (art. 15), pone il divieto di costituire o sostenere sindacati di comodo (art. 17) e, allo scopo di rendere effettivi tali diritti, introduce la garanzia della stabilità del posto di lavoro, disponendo le tutele accordate al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo (art. 18).
Proprio l’art. 18 ha rappresentato per quasi trentacinque anni il cardine della disciplina limitativa dei licenziamenti e ha costituito in definitiva il più efficace riconoscimento e la più ampia garanzia a livello individuale dei diritti e delle libertà enunciate dallo Statuto. In sostanza, ogni volta che il giudice avesse ritenuto illegittimo un licenziamento, la sanzione prevista era la reintegrazione nel posto di lavoro (nel caso di imprese con più di 15 dipendenti).
La norma, però, ha subito una pesante rivisitazione per opera delle riforme del 2012 e del 2015. Nel 2012 la riforma del lavoro Fornero ha previsto, al posto della sola reintegra, quattro differenti regimi di tutela che si applicano gradatamente a seconda della gravità dei vizi che inficiano il licenziamento. In seguito, poi, alla promulgazione e attuazione del Jobs Act da parte del governo Renzi, attraverso l’emanazione di diversi provvedimenti legislativi varati tra il 2014 e il 2015, l’art. 18 è rimasto in vigore per i soli rapporti instaurati prima del 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del decreto legislativo numero 23/2015) e già destinatari della tutela prevista dalla norma.
Da tale data, infatti, per i contratti a tempo indeterminato si applica la disciplina del cosiddetto contratto a tutele crescenti, introdotta sempre dal dlgs 23/2015 (decreto attuativo del Jobs Act). Per tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e licenziati ingiustamente, la norma prevede come sanzione principale un pagamento di un’indennità risarcitoria, limitando ulteriormente le ipotesi di reintegrazione nel posto di lavoro.
Nel titolo III si tracciano le prerogative dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro, attraverso il riconoscimento al sindacato del potere di operare nella sfera giuridica dell’imprenditore, per il conseguimento dei propri obiettivi di rappresentanza e di tutela.
Tra le disposizioni del titolo IV, oltre a quelle in materia di permessi e aspettative per i dirigenti sindacali (artt. 30-32), assume una posizione cruciale l’art. 28, che predispone un particolare strumento giudiziario volto a reprimere condotte antisindacali, in quanto impeditive o limitative dell’esercizio dell’attività sindacale o del diritto di sciopero.
Si tratta di una norma di centrale importanza nel disegno complessivo dello Statuto, in quanto legittima il sindacato ad agire direttamente nei confronti dell’imprenditore e a ottenere una pronuncia giudiziale di condanna, con ciò sancendo nella sostanza l’effettività dei diritti sindacali enunciati. Il Titolo V stabilisce le norme sul collocamento e il Titolo VI le disposizioni finali e penali.
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright Adnkronos.