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Manovra: Ichino, ‘su reddito cittadinanza per Inps-Cpi rischio adempimenti’  

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Il giuslavorista Pietro Ichino

“È davvero impensabile che l’Inps e i centri per l’impiego siano in grado di compiere in tempi brevi tutti i molti nuovi e complessi adempimenti previsti nel decreto, in relazione a ciascuna delle centinaia di migliaia di domande che da marzo affluiranno”. Così, in un’intervista ad Adnkronos/Labitalia, il giuslavorista Pietro Ichino commenta il reddito di cittadinanza approvato ieri sera con il decreto dal Cdm.

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Secondo Ichino, “il fatto che il governo attuale si impegni a migliorare e ampliare l’efficacia delle misure contro la povertà messe in campo dai tre governi precedenti va sicuramente salutato come un fatto in sé positivo”. “Le misure contenute in questo decreto, però, mi sembrano congegnate male. La montagna delle promesse elettorali ha prodotto due topolini, per di più molto zoppicanti”, avverte.








Secondo Ichino, “per la misura contro la povertà, il governo ignora tre cose, tutte di importanza cruciale”. “La prima – elenca – è che una misura come questa necessita, oltre che di una copertura finanziaria, anche di una copertura amministrativa: cioè di strutture pubbliche capaci di dare attuazione quello che la nuova legge prevede”. Per il giuslavorista, “il secondo errore commesso dal governo sta nel fatto che circa per tre quarti dei poveri assoluti a cui viene offerto questo sostegno è impensabile un inserimento nel tessuto produttivo, per ragioni di età o di handicap psico-fisico”. “La misura varata dal governo è stata strutturata essenzialmente come una misura di politica del lavoro; ma essendo diretta a una platea per tre quarti irrimediabilmente estranea al mercato del lavoro, nella maggior parte dei casi non potrà funzionare”, precisa.

“Il terzo errore del governo -continua- sta nel pensare che il mercato del lavoro funzioni ancora come negli anni ’50, quando accadeva che le imprese presentassero all’Ufficio di collocamento la richiesta di ‘un elettricista’, oppure ‘un fattorino’, oppure ‘un’impiegata d’ufficio’. Oggi per ciascun posto di lavoro ogni impresa cerca la persona specificamente adatta, scegliendo attentamente quella che, oltre alle caratteristiche personali necessarie, abbia anche la motivazione giusta”.

“Nessuna impresa -ribadisce Ichino- presenta al centro per l’impiego un’offerta di lavoro impersonale, buona per qualsiasi sconosciuto. Viceversa, se una persona non vuole che l’offerta le venga rivolta, basta che si presenti al primo colloquio mostrandosi poco motivata: l’impresa si guarderà bene dall’insistere nella propria ‘offerta di lavoro’. Così il meccanismo di ‘condizionalità’ previsto dal governo si rivelerà subito del tutto inconsistente”.

Per quanto riguarda le risorse stanziate per la misura, secondo Ichino, potrebbero probabilmente bastare per i primi due anni, “perché il difetto di copertura amministrativa produrrà un ritardo notevole nell’attivazione effettiva del sussidio”.

E su quota 100 è chiaro il giudizio del giuslavorista. “Il governo era partito -sottolinea- promettendo una contro-riforma delle pensioni; ma per ‘smontare’ la legge Fornero occorrerebbe fare appunto una riforma di segno contrario, cioè introdurre un nuovo regime che abbassi stabilmente l’età del pensionamento. Per fortuna, quello che è stato approvato è tutt’altra cosa: è un insieme di misure temporanee di pre-pensionamento, di cui soltanto due o trecentomila persone avranno la possibilità di approfittare nei prossimi tre anni; poi questa possibilità verrà meno e si tornerà per tutti al regime della legge Fornero. Che senso ha spendere quattro miliardi in questo modo?”.

Sulla percentuale di aventi diritto che ne approfitteranno Ichino è cauto. “È molto difficile -sottolinea- fare una previsione. Anche perché, contrariamente a quanto era stato promesso in campagna elettorale, qui il pensionamento anticipato viene consentito soltanto con una consistente riduzione della rendita, in proporzione all’anticipo: il pre-pensionamento potrà costare oltre un terzo della pensione”.

Secondo Ichino, le risorse stanziate potrebbero bastare “se la perdita derivante dall’anticipo del pensionamento scoraggerà molti dall’approfittarne”.

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