Giuseppe Roma
Pubblicato il: 12/03/2019 14:07
“Il problema del provvedimento sul reddito di cittadinanza e di questo ‘disorientamento’ anche tra i potenziali beneficiari, è che si tratta di un provvedimento ‘misto’ che da una parte vorrebbe chi non ce la fa, ma dall’altra parte affronta il tema del lavoro, quindi persone che vorrebbero lavorare ma non hanno il lavoro. E poi c’è un problema familiare, di chi ha un lavoro, ma guadagna poco. Mettendo queste tre cose insieme, si rischia di fare confusione, di sovrapporre varie condizioni molto differenti con un unico strumento, che sono i soldi”. Lo dice ad Adnkronos/Labitalia il sociologo Giuseppe Roma, già direttore generale del Censis nonché presidente e segretario generale di R.U.R. (Rete urbana delle rappresentanze, Centro di ricerca economica e territoriale, attivo da quasi 30 anni).
“In tutte le società avanzate -premette Roma- è necessario che ci siano delle misure di lotta alla povertà e di assistenza verso chi non ce la fa. In genere, si tratta di misure certamente anche di tipo reddituale, ma soprattutto di interventi che tendono ad esaltare le poche energie rimaste a chi sta indietro per rimetterlo nel circuito della socialità. Quindi, si cerca di erogare non solo un’assistenza, ma, oltre a un reddito di inclusione o di cittadinanza, anche un’attività che possa rimettere in gioco le persone”.
Ma in questo momento, osserva il sociologo, “siamo un Paese più propenso ad aiutare con interventi monetari e meno a mettere in circuito un’economia che possa far crescere l’occupazione”. Una strada che rischia di farci perdere di vista uno dei problemi più grandi dell’Italia. “Ricordiamo che siamo il Paese Ue che ha il più basso tasso di occupazione -prosegue Roma- e, se noi volessimo arrivare alla media non dico europea (che è molto più rilevante), ma semplicemente a quella francese, dovremmo far crescere l’occupazione di 3,5 mln di persone. Una cosa gigantesca e non facile, se pensiamo che solo negli ultimi 5 anni siamo riusciti a riprendere l’occupazione che c’era prima della crisi”.
Un’altra criticità dell’impostazione del reddito di cittadinanza, spiega il sociologo, “è che mostra anche la debolezza delle strutture pubbliche”. “Dopo che i famosi corpi intermedi come i patronati e i sindacati erano stati ‘bastonati’ e dopo che anche lo stesso governo si accinge a fare iniziative contro le pensioni dei sindacalisti, nel momento in cui si deve rendere operativo un intervento pubblico, lo Stato – avverte – si deve affidare alle reti dei patronati e dei Caf. Strutture che non solo sono le più diffuse sul territorio come le Poste, ma che certamente si occupano del sociale perché si occupano di pensioni, di fisco, di temi vicini ai cittadini”.
Roma è perplesso anche sul valore dell’operazione reddito di cittadinanza come redistribuzione della ricchezza. “Sì -afferma Roma- ma redistribuita da chi a chi? Dai ricchi ai poveri o dai lavoratori dipendenti che pagano le tasse e che magari guadagnano anche meno di 780 euro, a chi non ha lavoro o lavora in nero? Sappiamo già che non sarà facile controllare tutte le persone e le situazioni che stiamo aiutando e verificare che siano di effettiva povertà”.
Per Roma, il reddito di cittadinanza è un “provvedimento in linea col passato, che però non sappiamo se possiamo permetterci perché ancora il Paese non ha ripreso tutta la sua capacità produttiva pre-crisi”. “Vediamo se, passato questo avvio e passate le elezioni europee, riusciremo a fare fronte ai costi, che non sono pochi. Quante donne prendono, lavorando, meno di 780 ore? Quante persone sono costrette a fare un part time, guadagnando poco e lavorando tanto? La redistribuzione dei redditi va bene, ma intanto le risorse da redistribuire bisogna averle. Altrimenti, finiamo col danneggiare chi lavora otto ore al giorno e guadagna 1.200 euro al mese perché a lui non si dà un aumento salariale o il pensionato a cui è stata bloccata l’indicizzazione. E milioni di pensionati fanno un bel fondo”, conclude Roma.
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