“Le stime rilasciate sugli importi di erogazione dei sussidi del reddito di cittadinanza evidenziano che circa il 56% dei nuclei beneficiari percepirà meno di 500 euro mensili, ivi compresi il 25% che percepirà importi inferiori ai 300 euro. Il rimanente 42% dei nuclei, destinato a percepire compensi superiori ai 500 euro, assorbirà circa i 2/3 delle risorse che verranno erogate”. E’ quanto emerge da un’analisi eseguita da Itinerari previdenziali, e firmata Alberto Brambilla e Natale Forlani, sulla base dei dati elaborati da Giovanni Gazzoli. “L’esiguità delle erogazioni mensili per una parte consistente dei nuclei, oltreché evidenziare un’inefficace dispersione delle risorse, ha scatenato un’ingente mole di reazioni dei percettori che hanno visto deluse le loro aspettative, del resto sollecitate da una scorretta comunicazione istituzionale”, sottolineano gli autori.
“Giova comunque ricordare che, per quanto riguarda il Rei, l’importo medio mensile erogato nel 2018 si è assestato sui 295,88 euro, oltre 200 euro in meno di quello del reddito di cittadinanza, consistente in ben 502,14 euro”, aggiungono Brambilla e Forlani. Sbagliato per gli studiosi “l’insistenza nel far coincidere le politiche di contrasto alla povertà con quelle attive del lavoro” che “ha prodotto una distorsione nell’uso delle risorse dedicate alle politiche nazionali e regionali del lavoro, lasciando scoperte le aree più significative degli interventi di politiche attive, a partire da quelle dedicate all’alternanza tra scuola e lavoro e all’inserimento lavorativo delle persone in cerca di lavoro, che comporteranno un aumento dei ritardi nazionali sulla materia”. “Inoltre, come evidenziato anche dall’Ocse, l’entità dei sussidi, troppo elevati rispetto ai salari effettivamente percepiti dalle fasce basse dei lavoratori occupati, e la possibilità di rifiutare lavori a termine e al di sotto della soglia massima dei sussidi, rischia di produrre una disincentivazione per la ricerca di nuovo lavoro”, aggiungono Brambilla e Forlani.
Il numero di domande pervenute per il reddito di cittadinanza poi “ridimensiona al momento le statistiche Istat su povertà assoluta e relativa, così come quelle inizialmente avanzate dal governo sui potenziali beneficiari delle prestazioni” spiega il think tank guidato dall’economista Alberto Brambilla, che giudica “inattendibile” la stima di 5 mln di poveri assoluti avanzata dal governo. “La comunicazione rilasciata dall’Inps lo scorso 24 aprile -si legge nello studio- evidenzia il superamento delle 947mila domande presentate, senza però fornire il numero delle domande esaminate”.
E anche se “i dati messi a disposizione sono ancora approssimativi e non consentono di pervenire a una valutazione dell’efficacia dell’intervento rispetto agli obiettivi perseguiti dal legislatore”, i due studiosi sottolineano che “il numero delle domande presentate si mantiene abbondantemente al di sotto rispetto sia alle previsioni rilasciate dai proponenti, i famosi 5 milioni di poveri assoluti di cui alle statistiche Istat, che in un altro articolo giudichiamo molto inattendibili, nonché un ‘assist’ formidabile per i politici sempre a caccia di consensi, sia alle previsioni riportate nella relazione tecnica che ha accompagnato il provvedimento”. “Solo un ulteriore significativo incremento delle domande e una sostanziale assenza di turn over interno ai beneficiari potranno consentire di raggiungere il numero di 1,3 milioni di nuclei richiedenti stimati dall’Istat nel corso delle audizioni parlamentari. Di conseguenza, si ridimensionano sia le statistiche dell’Istat su povertà relativa e assoluta sia quelle inizialmente avanzate dal governo sui potenziali beneficiari delle prestazioni”, spiegano Brambilla e Forlani.
Per gli esperti di Itinerari previdenziali, il numero delle domande fin qui pervenuto (1 milione) per il reddito di cittadinanza ridimensiona le stime sulla povertà assoluta in Italia, calcolata dal governo in una platea di 5 mln di persone. “A incidere su questo ridimensionamento -spiegano gli autori dell’analisi- possono aver contribuito, soprattutto per le regioni del Nord e del Centro, le restrizioni previste per l’accesso dei cittadini extracomunitari, molto presenti in queste regioni”. Altro fattore che può aver trattenuto dal presentare domanda “la paura che lo Stato scopra quelli che fanno lavoro irregolare o che percepiscono da Stato, Regioni e Comuni delle provvidenze che potrebbero essere tolte in caso di verifiche; al Sud e nelle Isole si è comunque riscontrato circa il 10% in più sul totale delle domande rispetto alle previsioni del governo”, dicono gli studiosi.
“L’incidenza delle domande avanzate dai cittadini di origine straniera o neo-comunitari viene stimata da Inps nel 12% del totale di quelle presentate. Per l’approvazione di queste domande, soprattutto per i cittadini extra-comunitari, sono destinate a pesare le incognite delle verifiche della congruità dei requisiti di residenza e della documentazione relativa ai patrimoni mobiliari e immobiliari detenuti dai richiedenti nei Paesi d’origine, verifica che potrà avvenire solo a valle delle procedure previste dal decreto interministeriale attuativo, non ancora emanato”, concludono Brambilla e Forlani.
“Nel medio periodo, se non verranno introdotti nel frattempo degli adeguati correttivi, si potrebbe persino prefigurare un’anomala attrazione verso i sussidi del reddito di cittadinanza per i lavoratori attualmente occupati a termine e con basse remunerazioni. In poche parole, la politica attiva del lavoro così concepita, anziché favorire l’incontro tra la domanda e offerta rischia di trasformarsi in una trappola permanente della condizione di disoccupazione”, conclude lo studio.
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