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Rivolta Reggio Calabria, una ferita che sanguina ancora

 

Cinquant’anni fa la rivolta di Reggio Calabria. Era il 14 luglio 1970 quando si materializzò un evento lacerante, definito rivolta fascista per il ruolo che assunse il Movimento Sociale Italiano. Tutto ebbe inizio, però, il 5 luglio quando l’allora sindaco, Piero Battaglia (Dc), con il suo “Rapporto alla città”, informò i reggini dell’accordo politico-istituzionale fatto a Roma, sull’asse Catanzaro-Cosenza, ai danni di Reggio Calabria. Fu la scintilla di una rivolta – passata alla storia come i “Moti di Reggio Calabria” – che diventerà inarrestabile all’indomani della decisione di convocare a Catanzaro la prima seduta del neo eletto Consiglio regionale della Calabria.

“All’inizio fu solo una protesta – racconta uno dei protagonisti di quei giorni, Fortunato Aloi, ex parlamentare e dirigente del Msi – che non riuscendo a trovare un interlocutore si trasformò presto in rivolta”. L’Italia in quei giorni era senza una guida. Dopo soli 131 giorni si era dimesso il III Governo Rumor e si dovette attendere il 6 agosto per avere un nuovo esecutivo, guidato dal dc Emilio Colombo, con Psi, Psdi e Pri in cui ricoprivano importanti ruoli esponenti della politica catanzarese e cosentina.

La mattina del 14 luglio, un corteo spontaneo partì dal quartiere Santa Caterina. Lo guidava proprio Natino Aloi. Da sei che erano all’inizio, divennero trentamila. “Scelsi di difendere la città – spiega oggi Aloi – dal momento che tutti i partiti, nessuno escluso, per motivazioni di ordine regionale e nazionale, anche se il vero potere era concentrato tra Catanzaro e Cosenza, decisero di non pronunciarsi”. E così Reggio divenne teatro di una guerriglia urbana senza precedenti. In piazza scesero tutte le categorie professionali. C’erano anche Demetrio Mauro, industriale del caffè, e Amedeo Matacena, armatore privato dei collegamenti navali nello Stretto, e l’ex comandante partigiano Alfredo Perna. Fu anche la rivolta delle donne.

 

 

 

 

 

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