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Ilva, ricorso contro lo spegnimento dell’Altoforno 2

I legali dell’Ilva in As hanno depositato alla cancelleria del tribunale del Riesame di Taranto il ricorso contro la decisione del giudice Francesco Maccagnano di respingere l’istanza di proroga della facoltà d’uso dell’Altoforno 2 dello stabilimento ArcelorMittal di Taranto. Ora si aspetta la data dell’udienza che probabilmente sarà fissata per il 30 dicembre, secondo il calendario delle discussioni dei ricorsi già fissato dal Tribunale.

La data successiva per la possibile fissazione del’udienza è quella del 7 gennaio, ma troppo ravvicinata all’ultima fase delle operazioni dello spegnimento dell’impianto, già avviate su disposizione del giudice Maccagnano. L’Afo2 fu sequestrato dopo l’incidente del giugno 2015 che costò la vita all’operaio Alessandro Morricella. A distanza di quattro anni e mezzo, non è ancora stata rispettata la prescrizione più importante, quella dell’automazione del campo di colata. In mancanza di accoglimento del ricorso da parte del Riesame, secondo il cronoprogramma predisposto dal custode giudiziario dell’area a caldo Barbara Valenzano, “le modifiche impiantistiche che saranno implementate dall’8 gennaio 2020 in poi non consentiranno la successiva ripresa del normale esercizio dell’Afo2”. Il 18 gennaio 2020, invece, quando sarà completata la fase di abbassamento carica dell’Altoforno, inizierebbe il “colaggio della salamandra”, consistente nella foratura del crogiolo e nel colaggio degli ultimi fusi, intervento che durerebbe un paio di giorni. A quel punto l’impianto non potrebbe essere più utilizzato se non dopo procedure che durerebbero almeno 6-7 mesi. Per ragioni di sicurezza e per garantire un regime termico adeguato, l’altoforno dovrà mantenere un livello minimo produttivo di 4.800 tonnellate al giorno fino all’ultima fase dello spegnimento.

Inanto proseguono anche oggi i negoziati tra i commissari dell’ex Ilva e ArcelorMittal, nonostante ieri in tarda serata il gruppo franco indiano abbia deciso di depositare una memoria per replicare al ricorso cautelare d’urgenza dell’amministrazione straordinaria. Non si è trattato, infatti, stando a quanto spiegato, di una mossa ‘aggressiva’ ma di un passaggio procedurale ‘obbligato’, dato che nelle trattative per arrivare ad un accordo di principio su ‘macrotemi’ restano degli aspetti su cui non c’è ancora un’intesa. Tre gli scenari che si prospettano a questo punto: se prima dell’udienza di venerdì non verrà trovata un’intesa di principio allora si andrà allo ‘scontro’ in udienza con la discussione e la decisione del giudice nei giorni successivi; sarà raggiunto prima dell’udienza un accordo sui ‘macrotemi’ e le parti congiuntamente chiederanno un rinvio dell’udienza alla settimana successiva o a gennaio per i negoziati. Terza ipotesi: le parti avranno bisogno di qualche giorno in più per trovare l’intesa di massima e chiederanno un rinvio al 23 dicembre o a dopo le feste. Ieri, infatti, da quanto si è saputo, il negoziato tra le due parti è andato avanti per tutto il giorno alla ricerca dell’accordo di massima per proseguire nelle trattative. Quando si è capito, però, che c’erano ancora degli aspetti su cui non c’è intesa, Mittal, come passaggio procedurale obbligato (ieri scadeva il termine) e non come mossa aggressiva, ha deciso di depositare in tarda serata la memoria che contrasta il ricorso cautelare d’urgenza presentato dai commissari che ritengono illegittimo l’addio all’ex Ilva da parte della multinazionale. Ad ogni modo, è stato chiarito che proseguiranno anche oggi in modo intenso le trattative per arrivare ad un’intesa di massima e ad una conseguente richiesta congiunta di rinvio dell’udienza, un rinvio che sarebbe utile, poi, per definire un accordo in tutti i dettagli necessari. Il giudice nelle scorse settimane aveva rinviato il procedimento a venerdì 20 per consentire alla “trattativa” di “svolgersi sulla base delle intese e degli impegni assunti”. Con la presentazione, poi, nei giorni scorsi del nuovo piano di Mittal, però, il quadro era cambiato, perché le affermazioni del gruppo sugli esuberi erano state ritenute assolutamente inaccettabili dai commissari dell’ex Ilva. Il negoziato, comunque, anche dopo la presentazione di quel piano “inaccettabile”, è andato avanti e sta proseguendo ancora. Un anno fa circa, ArcelorMittal, vincendo la gara e firmando il contratto, si impegnò a garantire, indipendentemente dalla situazione del mercato, 10mila posti di lavoro e a pagare, in caso contrario, una penale di 150mila euro per ogni lavoratore lasciato a casa. In sostanza, per l’ex Ilva si può sì trattare sulla revisione degli accordi presi, ma non certo sul caposaldo del contratto che è l’aspetto occupazionale.

Il punto non ancora risolto per l’accordo di massima, premessa della trattativa tra ArcelorMittal e i commissari dell’ex Ilva, è la mancata definizione dell’entità, della misura e della modalità degli interventi degli eventuali soggetti pubblici e privati italiani che potrebbero entrare nell’operazione per rivitalizzare il polo siderurgico italiano. Da quanto si è appreso, questo è uno dei motivi che ha portato ieri il gruppo indiano a depositare una memoria nella causa civile in corso a Milano.

L’altoforno 2 “è ‘vitale’ per l’impianto di Taranto e l’intero polo industriale” e il suo “spegnimento”, a sua volta, “imporrà di spegnere anche gli altri due altoforni attivi presso lo stabilimento di Taranto perché presentano caratteristiche tecniche analoghe”. La “Magistratura penale”, poi, ha anche stabilito “che l’omessa esecuzione delle Prescrizioni non è imputabile” ad ArcelorMittal, “bensì ad ‘anni di inadempimento colpevole'” dei commissari dell’ex Ilva. Lo scrivono i legali del gruppo nella memoria depositata a Milano.

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