“Credo fosse fine febbraio: una collega era rauca e per prudenza si era messa una mascherina. Noi ancora non l’avevamo e lei era stata ripresa perché ‘non era il caso di creare allarmismi nei confronti degli ospiti'”. Lo racconta all’ANSA una dipendente del Refuge Père Laurent di Aosta, rimasta contagiata dal nuovo coronavirus.
“La mascherina me la sono procurata e portata da casa. La prima volta che è stata vista una mascherina nel nostro reparto – ribadisce – ci è stato detto che non era il caso di indossarla perché avremmo creato tensione nei confronti degli ospiti. Così abbiamo fatto, anche se forse non avremmo dovuto. Poi pian piano, spaventandoci sempre di più, tutti i giorni, tra ricoveri e febbri degli ospiti”, le mascherine sono arrivate. “Ce ne ha fatta avere una il nostro datore di lavoro. Poi però era una, di quelle usa e getta, che avremmo dovuto cambiare tutti i giorni.
E poi dopo i guanti, ma non avevamo grembiuli, né nulla”.
Quindi, prosegue la dipendente della casa di riposo Père Laurent, il datore di lavoro “ci ha procurato un grembiule da mettere solo nel momento dell’igiene degli ospiti. Ma essendo persone anziane, l’igiene la fai più volte nel corso di una giornata. E quindi questo grembiule una volta utilizzato al mattino veniva messo da noi” all’esterno, “di modo che in qualche modo si sanificasse, tra virgolette, nella nostra ignoranza. Però, torno a ripetere, un anziano ha bisogno di andare più volte in bagno nell’arco della giornata, quindi questo contatto stretto veniva comunque: non puoi tenere una distanza di due metri se lo devi aiutare a fare i suoi bisogni.
E se ti tossisce lo fa in faccia, ma se sei senza occhiali…”.
“Ero allarmata – aggiunge – dal fatto che ci fossero tante febbri in reparto” e in un colloquio avuto “con il direttore” nella seconda metà di marzo “lui si è presentato rassicurandoci e dicendoci che l’unica contagiata era sotto controllo. Poi però, evidentemente, non era così”.