“Abbiamo lavorato scoperti, senza alcuna protezione, fino al 20 marzo, poi ci sono state consegnate le mascherine e il 22-23 marzo ci sono stati dati dei camici leggerissimi, verdi, di quel tessuto che solo a guardarlo lo rompevi e che, invece di essere buttati, venivano tutti appesi in uno stanzino e reciclati”. Lo racconta una oss dipendente del Refuge Père Laurent di Aosta, ora in malattia in attesa dell’esito del tampone Covid. Nell’istituto dal 5 marzo sono morti 36 su 120 degenti e i casi positivi al Covid-19 sono ora 47. “Quando io ho chiesto alla direzione maggiori protezioni – aggiunge l’operatrice – mi è stato detto che non c’erano casi di Covid e che non bisognava spaventare gli ospiti”.
“A inizio marzo – racconta la dipendente dell’ospizio privato convenzionato con la Regione – gli ospiti hanno incominciato ad ammalarsi, ad avere la febbre e sintomi compatibili con il Covid, e nell’arco di poco tempo sono aumentati, ma sono stati messi in isolamento solo a metà mese, tra il 13 e il 15 marzo, anche se poi mangiavano assieme a tutti gli altri nel refettorio”. Racconta ancora: “Io non sono un medico, non sono un virologo, ma quando vedi che si stanno ammalando tutti e poi muoiono, capisci subito che non poteva essere una semplice influenza”.