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Inferno reparti Covid, infermiera racconta dramma

 

(di Enrico Marcoz)

“L’aria è pesante. C’è uno strano silenzio nei corridoi e nelle stanze, rotto solo da qualche colpo di tosse. I pazienti che stanno ‘meglio’ sono angosciati, hanno paura di aggravarsi. Quelli terminali sono disperati, vivono il dramma di morire da soli, senza parenti o amici al capezzale. Saremo noi le ultime persone che vedranno in vita. Al massimo possiamo dargli la mano, fargli una carezza, ma non possiamo stare con loro a lungo”.

Marta (il nome è di fantasia) è un’infermiera in servizio in uno degli speciali reparti Covid allestiti all’ospedale Parini di Aosta. Segue pazienti di media intensità assistenziale e quelli ‘terminali’. Per lei ogni giorno è un viaggio nell’inferno del virus che sta mettendo in ginocchio la Valle d’Aosta (prima regione d’Italia per numero di contagiati in rapporto alla popolazione).

“Quando arrivo in reparto – racconta all’ANSA – comincia la vestizione con una sequenza precisa: calzari, cuffia, primo paio di guanti, camice, mascherina e secondo paio di guanti. Usiamo anche le tute delle sale operatorie. A questo punto possiamo entrare. Buttiamo acqua e cloro sulla maniglia e apriamo la porta del reparto. Dentro ci sono una trentina di pazienti, non si lamentano. Prima di infilarci nelle stanze prepariamo tutto, la consegna è di restarci il meno possibile. Sulle porte, che restano sempre chiuse, ci sono le schede di ciascun paziente. Prendiamo i parametri, diamo i farmaci, aiutiamo i pazienti a lavarsi. Quasi tutti restano sempre a letto. Qualcuno riesce a chiamare i parenti con il cellulare, ma siamo noi a comunicare l’evoluzione clinica. Molti sono anziani ma ci sono anche dei giovani. Siamo tutti imbardati, si parla poco, ci scambiamo degli sguardi d’intesa”.

Usciti dalla stanza di nuovo il lavaggio con acqua e cloro, il cambio dei guanti. Poi in infermeria a preparare il lavoro. Non si può usare il bagno. Tutto è contaminato. I turni si interrompono ogni quattro ore, si deve uscire dal reparto, qualche minuto di pausa per mangiare (panino, yogurt e banana) e fare due passi. Si cambia la mascherina e di nuovo dentro”.

“E’ pesante lavorare in queste condizioni, meno male che ci sono gli oss che ci danno una mano, il loro apporto è straordinario” aggiunge. “Ogni tanto arriva un gesto di solidarietà, le pizze in omaggio, “sono gesti che ci fanno piacere e che ci fanno andare avanti”.
   

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