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La scala di Norwood-Hamilton della calvizie

Negli anni ‘50 del secolo scorso, James B. Hamilton, professore di medicina statunitense specializzato in anatomia e annoverato tra i massimi esperti della calvizie dell’epoca, nonché studioso degli effetti del testosterone sull’uomo, elaborò una vera e propria “scala della calvizie“, utile per diagnosticare la stato di avanzamento del problema.

Successivamente, a metà degli anni ’70, il Dottor O’Tar Norwoodche ho avuto la fortuna di conoscere ed esserne amico, ha ripreso questa scala apportando alcune migliorie e integrazioni. Così si è giunti alla scala di Hamilton-Norwood, ancora oggi molto usata e che riproponiamo in questa immagine.

Questa scala, rappresentata tramite una serie di immagini piuttosto chiare ed esplicative, scandisce il progredire della calvizie in 7 fasi che quantitativamente possono essere descritte così:

  1. Nessuna calvizie
  2. Leggera
  3. Da leggera a moderata
  4. Moderata
  5. Da moderata ad ampia
  6. Ampia
  7. Completa

Da un punto di vista qualitativo si ha:

  1. Nessun problema o al più una scarsa caduta di capelli e una lieve recessione dell’attaccatura dei capelli nella zona frontotemporale; non si può parlare di vera calvizie.
  2. I capelli si diradano e la recessione nella zona frontotemporale inizia a mostrare una lieve stempiatura
  3. Le stempiature sono ben evidenti, e sono a forma di “U”, così come il diradamento vicino all’attaccatura dei capelli nella zona frontotemporale, ormai in uno stato di evidente recessione
  4. Il diradamento sulla sommità del capo è molto avanzato, così come la recessione nella zona frontotemporale
  5. Il diradamento interessa anche la fascia che era tra la stempiatura e la sommità del capo, dove prima i capelli erano più densi
  6. Ormai restano praticamente solo i capelli nella zona posteriore e ai lati del capo
  7. Anche le zone che nella fase precedente erano state preservate ora sono affette da diradamento.

Esistono anche alcune varianti:

La scala di Hamilton-Norwood ancora oggi è uno strumento popolare usato per classificare il livello di alopecia androgenetica, ma non c’è un consenso universale sulla sua affidabilità. Infatti uno studio (pubblicato qui) ha dimostrato che sottoponendo alcuni pazienti affetti da alopecia androgenetica a svariati medici esperti, non ha portato poi ad una catalogazione univoca dei singoli casi.

Ad ogni modo, guardiamo il quadro generale: a che cosa serve “classificare” il livello di alopecia? Scoprire di essere al livello II, per esempio, rischia di essere solo un atto fine a se stesso. È il chirurgo che, avendo affrontato migliaia di casi nel corso della sua attività professionale, in base ad un’anamnesi completa, all’esame obiettivo sulla qualità della cute, del capello (fino, grosso, riccio, chiaro, scuro, ecc.) allo stato di salute del paziente e alla sua età, potrà determinare il vero stato di avanzamento della patologia, soprattutto in rapporto alle possibilità di intervento, per migliorare il più possibile il risultato complessivo anche nel lungo termine.

Faccio un esempio: si può riscontrare lo stesso livello IV di calvizie su due persone, ma se una ha 24 anni e l’altra più di 60, si tratta di due pazienti che avranno bisogno di trattamenti molto diversi.

Un paziente, infatti, va sempre valutato con un occhio al presente ed un occhio al futuro, per fare oggi una cosa che potrà andar bene anche tra 30, 40, 50 anni, quando eventualmente la calvizie potrebbe essere avanzata.

Intervenire al momento giusto e soprattutto prefigurare al paziente quale sarà l’evoluzione del problema, nonché valutare e programmare le sessioni di trapianto di capelli necessarie, è fondamentale per ottenere risultati duraturi che assicurino al paziente un effetto esteticamente piacevole, armonico e naturale ora e nel tempo. Ecco che la valutazione del grado di calvizie è utile anche per fornire al paziente un quadro chiaro delle possibilità di correzione e capire se quello che il chirurgo può fare per lui è quello che si aspetta. Questo è uno degli aspetti che ritengo più importanti nell’impostazione di un rapporto medico-paziente costruttivo e duraturo.

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