Nei siti della rete di monitoraggio dell’autismo e delle disabilità dello sviluppo (ADDM) del Centers of Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta, siti che si trovano in 11 Stati degli USA, ogni due anni si esegue fin dal 2000 un’indagine campionaria sulla prevalenza del Disturbo dello spettro autistico (ASD).
Alla vigilia della Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo del 2 aprile è stata pubblicata dal CDC la nuova indagine Morbidity and Mortality Weekly Report (MMWR) che evidenzia come nell’anno 2020 un bambino di 8 anni su 36 (2,8%), è stato diagnosticato con ASD. La cifra è molto superiore alla stima del 2018 che aveva rilevato una prevalenza di 1 su 44 (2,3%) (Cfr. Matthew J. Maenner e A.A. in https://www.cdc.gov/mmwr/volumes/72/ss/ss7202a1.htm?s_cid=ss7202a1_w )
Nel 2020 i maschi sono quattro volte più frequenti delle femmine, le quali pure aumentano e per la prima volta toccano la percentuale dell’1%. Impressiona ancor più il confronto con il 2016, quando la prevalenza di maschi e femmine era 1 su 54 (1,9%) e con il 2000 (inizio della rilevazione): uno su 150 (0,7%).
Per un confronto, l’Italia nel 2019 trova un bambino ogni 77 (ultimo dato disponibile) circa allo stesso livello della ricerca americana svolta nel 2008, con 11 anni di distanza.
Questi dati non hanno la pretesa di essere rappresentativi di tutti gli Stati Uniti, anche perché sono troppo grandi le variazioni fra uno Stato e l’altro: in California le percentuali sono il doppio rispetto al Mariland: 1 su 43 (2,3%) bambini nel Maryland contro 1 su 22 (4,5%) in California.
Le rilevazioni del 2020 sono state intralciate dalla COVID, che tuttavia ha inciso particolarmente sulla rilevazione parallela, iniziata molto più di recente, sui bambini di 4 anni; a maggior ragione l’aumento registrato per i bambini di 8 anni, nonostante la COVID, desta molte preoccupazioni e deve spingere a programmare servizi utili per questa parte di popolazione in rapida crescita.
Ricordiamo anzitutto che le rilevazioni della prevalenza riguardano le diagnosi fatte e non direttamente il fenomeno in sé. L’aumento delle diagnosi ASD in California è dovuto in gran parte al fatto che proprio in questo Stato i servizi per l’ASD sono molto sviluppati, sia quelli sanitari che quelli psicoterapeutici e pedagogici speciali. L’attenzione dei genitori, degli insegnanti e dell’opinione pubblica, condizionata da film, serial televisivi ed altri mezzi di comunicazione di massa, favorisce la richiesta ai pediatri, che difficilmente possono ora rispondere “non si preoccupi, signora mamma, ogni bambino ha i suoi tempi di sviluppo”. Ora l’ASD viene accettato dai genitori molto di più che in passato, quando tutti l’ignoravano oppure lo consideravano uno stigma soltanto molto negativo, incurabile e non ne accettavano neppure le minime stranezze sociali. ASD ricomprende anche -ma è molto più ampio- “autismo infantile o sindrome di Kanner” delle precedenti classificazioni e lo colloca nel suo livello 3, che su Lancet viene denominato autismo profondo, accompagnato da disabilità cognitiva grave, mentre la precedente sindrome border line di Asperger viene generalmente collocata a livello 1, all’estremo opposto dello spettro.
L’aumento del fenomeno non deve credersi dovuto soltanto alla diversa classificazione o alla diversa propensione a fare diagnosi. Il 37,9% dei bambini del 2020 aveva un Quoziente di Intelligenza inferiore a 70, e la percentuale è circa eguale a quella del 2018. Si deve perciò ritenere che almeno una parte dell’aumento sia dovuta al reale aumento del fenomeno, perché non è plausibile che questi casi non fossero diagnosticati in precedenza. Anche i nostri neuropsichiatri infantili italiani sono abbastanza concordi sull’osservazione che i casi classificati a livello 3 sono molto aumentati.
Le mamme americane ormai sanno che i figli con ASD possono usufruire di interventi intensivi che per essere più efficaci debbono essere più precoci possibile. Le mutue e gli Stati offrono da molti anni e sempre con maggiore larghezza gli interventi basati sull’analisi applicata del comportamento (sigla inglese A.B.A.) che la Linea guida dell’American Academy of Pediatrics consiglia come intervento di elezione.
La stessa raccomandazione, seppure seguita con molta fatica e in poche ASL, veniva data in Italia fin dal 2011 anche dalla nostra Linea guida ministeriale n.21 dell’Istituto Superiore di Sanità sull’autismo nei bambini e negli adolescenti, uscendo finalmente dall’oscurantismo in cui si credeva che l’autismo fosse provocato da carenza di affetto della madre, perciò definita “madre frigorifero”. Purtroppo, la nuova generazione di esperti dell’ISS ha ritirato lo scorso anno quella sua linea guida n.21, che pure era stata confermata nel 2015, ed ha proposto agli stakeholders di considerare tutti gli interventi definiti “psicosociali” come interventi con prove di efficacia molto basse. A parità di classificazione infima (voto 4 a tutti) ci si attende che le autorità sanitarie inseriscano nei Livelli essenziali di assistenza (che dovrebbero essere garantiti a tutti dalle ASL) quelli meno costosi, non certo quelli intensivi, il cui costo viene calcolato dall’ISS esageratamente, appositamente per distogliere i decisori pubblici dall’adottarli.
C’è soltanto da sperare che la Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo del 2 aprile faccia riflettere per evitare che l’Italia segni un arretramento rispetto alla quasi totalità dei Paesi, fra i quali l’Australia, che ha pubblicato recentemente l’ottima Linea guida sugli interventi non farmacologici sull’ASD, usando le stesse metodologie del nostro ISS ma traendo conclusioni diverse e in particolare differenziando gli interventi secondo la loro efficacia.
Prof. Carlo Hanau Presidente di A.P.R.I. Associazione Cimadori per la ricerca italiana sulla sindrome di Down, l’autismo e il danno cerebrale, OdV, ETS (www.apriautismo.it)
Già docente universitario di programmazione dei servizi sociali e sanitari