Uomini e donne, pericolosamente simili per la medicina. Può sembrare scontato che agli uni e alle altre, così diversi per anatomia e fisiologia, vengano prescritte cure specifiche quando si ammalano. E invece, troppo spesso, così non è.
Medicina e farmacologia di genere sono una novità: c’è ancora molto da fare per arrivare all’equità della cura. Lo sa bene Silvia De Francia, farmacologa clinica e ricercatrice dell’Università di Torino, impegnata nella battaglia contro il «bias di genere» per evitare che le donne continuino a ricevere terapie e trattamenti a «misura d’uomo».
Silvia De Francia è farmacologa clinica e ricercatrice dell’Università di Torino
«Uomini e donne si ammalano in modo diverso: spesso non presentano sintomi identici di malattia e, per altro, non possono assumere i medesimi farmaci con gli stessi livelli di sicurezza», spiega De Francia. Il Covid-19 è stata un’ulteriore prova di come esista una differenza di genere sia nei tassi di infezione sia in termini di mortalità, in questo caso a vantaggio delle donne, che hanno un sistema immunitario più forte. «Eppure – continua De Francia -, anche se la scienza ha appurato le differenze di sesso e genere negli individui, queste, nella routine clinica specialistica e nella medicina di base non sono state ancora prese in seria considerazione».
Silvia De Francia racconta questa realtà – e i suoi problemi – ne «La medicina delle differenze. Storie di donne, uomini e discriminazioni», edito da Neos, i cui diritti d’autore saranno devoluti al dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università di Torino a sostegno della ricerca in farmacologia genere-specifica. L’assenza di un approccio multidisciplinare di questo tipo significa molto: prima di tutto diagnosi errate.
«Il cuore della donna – sottolinea – può ammalarsi in modo diverso da quello maschile, ma i sintomi d’infarto che vengono riconosciuti subito, e con facilità, sono quelli più frequenti nell’uomo. La donna può presentare come sintomi solo una lieve dispnea, con dolori retrosternali, senza il classico dolore al petto che irradia al braccio sinistro». Il risultato? Le donne vengono spesso ospedalizzate in reparti non adeguati, con terapie tardive, che provocano una maggior letalità o un recupero più lento. Diagnosi errate basate sul pregiudizio che le malattie cardiovascolari siano appannaggio maschile, a testimonianza di un serio problema di formazione nei medici.
Solo adesso medicina e diritto si stanno lentamente adeguando per garantire a ciascuno un trattamento equo, tarato sui dati soggettivi che ciascun individuo porta inevitabilmente con sé dalla nascita. «Solo a giugno dello scorso anno, in Italia, è stato approvato il Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere nei reparti ospedalieri e, quindi, il personale sanitario sarebbe formalmente obbligato per legge a considerare sesso e genere degli individui in termini di cure». Ma ciò che è sulla carta è lontano anni luce da ciò che accade quotidianamente negli ospedali, negli ambulatori e negli studi dei medici di base. «E’, per esempio, all’ordine del giorno nei pronto soccorso l’arrivo di donne colpite da tossicità da farmaco», spiega De Francia: «Nel mondo il 50% dei ricoveri è a carico di donne coinvolte da questo problema. Si tratta di farmaci che non sono mai stati testati, prima dell’immissione in commercio, sulla popolazione femminile».
Eppure, oggi, né la medicina genere-specifica né la farmacologia genere-specifica sono presenti nei programmi didattici. De Francia, e pochi altri docenti in Italia, la propone nelle proprie lezioni di farmacologia generale e speciale all’università, ma è chiara l’urgenza di corsi d’aggiornamento, a partire dai medici di base, così come è necessaria una visione più ampia per le scuole di formazione alla professione sanitaria. La medicina genere-specifica, infatti, è una disciplina trasversale: serve a curare al meglio ogni individuo, uomo, donna o transgender, analizzando tutti i fattori che concorrono alla genesi e al decorso di una patologia: da quelli ambientali e di rischio a quelli biologici, considerando quanto sesso e genere di ognuno possano influenzare malattie e risposta ai farmaci. Ci sono, infatti, malattie che colpiscono solo un genere e altre che mostrano sintomi differenti in base al sesso e che, quindi, vanno curate in modi diversi.
Per fare qualche esempio, la cardiomiopatia di Tako-tsubo, o «sindrome del cuore infranto», colpisce solo le donne, prevalentemente in premenopausa, manifestandosi con sintomi che possono simulare una crisi coronarica acuta anche se sono indotti da un forte stress. «La perdita di un figlio o di un compagno – spiega De Francia – possono causare tale sindrome anche a distanza di tempo, in modo inatteso». A discapito dell’uomo, invece, proprio come il Covid-19, c’è il tumore mammario: colpisce relativamente pochi maschi rispetto alle femmine, ma la mancanza di screening e controlli porta ad una altissima letalità. Quando si scopre, infatti, spesso è troppo tardi. «Anche l’uomo possiede la ghiandole mammarie – continua De Francia – ma lo screening del seno maschile è oggi pressoché inesistente e le cure, in caso di diagnosi di cancro al seno nell’uomo, sono tarate solo sulle donne».
Infine, al contrario delle malattie cardiovascolari, erroneamente associate di più agli uomini, l’osteoporosi viene riconosciuta come una malattia tipicamente femminile, sebbene colpisca in modo uguale i maschi, ma in età più avanzata. «L’uomo – aggiunge – soffre di decalcificazione ossea pochi anni dopo la donna, ma in assenza di pratiche adeguate di screening, indicate da linee-guida nella donna, incorre più facilmente in fratture».
C’è, inoltre, il capitolo dei farmaci. «La maggior parte di quelli in commercio è stata testata quasi totalmente su individui di sesso maschile. La donna è rimasta a lungo assente da questi studi di sperimentazione clinica: fino al 1993 la presenza femminile era pari a zero, mentre ora l’arruolamento si attesta tra il 25-30%. Ma, oltre alle differenze ormonali, è chiaro che, avendo degli organi più piccoli e un metabolismo differente, la donna può incorrere più facilmente in problemi di sovradosaggio e di potenziale tossicità».
«Occorre rifondare la medicina, ripensandola nel modo più inclusivo possibile», conclude De Francia: «Non dobbiamo lasciare indietro nessuno, altrimenti sarà impossibile parlare di equità di trattamento e accesso alle cure, giusto ed adeguato per tutti». —