Che cosa c’è nel piatto? Al di là di grassi, proteine, zuccheri e qualche vitamina, l’85% dei costituenti del cibo è un enigma da scoprire: è questo universo che potrebbe aprire le porte a nuove – e rivoluzionarie – cure basate su micronutrienti, perlopiù ancora ignoti, i quali – si pensa – interagiscono con l’organismo e lo fanno con enormi conseguenze.
Indagare questa «zona» è l’obiettivo del progetto «Foodoma», che vuole realizzare una mappa del cibo, catalogando le micro-componenti degli alimenti per scoprire se e in che modo impattano la salute. «Da quasi quattro anni sono a capo di un team che studia l’universo dei componenti chimici del cibo, in modo simile allo studio del Genoma – spiega a “TuttoSalute” la fisica Giulia Menichetti della Northeastern University a Boston -. È un progetto ambizioso, pieno di insidie tecniche e teoriche, ma fondamentale, perché in termini di statistiche che riguardano l’incidenza di malattie e morte il vero killer è una cattiva dieta, non la genetica». I dati genetici, infatti, spiegano solo una parte – fino al 20% – delle cause delle malattie.
Gli studi sui rapporti tra alimentazione e salute, per quanto abbiano fatto luce su una serie di insidie nel piatto (come i rischi connessi con il consumo eccessivo di zuccheri), non sono sufficienti a spiegare come il cibo influenzi la salute. «Il nostro lavoro mira a individuare il meccanismo d’azione dei componenti chimici nel cibo – spiega la professoressa -. Arrivare alla dimensione molecolare è fondamentale per la salute, ma anche per capire aspetti complessi come l’origine dei sapori e degli odori degli alimenti».
Finora, però, solo una frazione dei composti è stata catalogata: il database più ampio al mondo, noto come «FooDB», raccoglie qualcosa come 26.625 sostanze e di queste appena 150 sono quelle che compaiono nelle tabelle nutrizionali. Non solo. Anche se si conosce la presenza di determinati composti in un cibo, difficilmente è nota l’esatta quantità contenuta. L’aglio, per esempio, contiene oltre 2300 sostanze, ma solo di 146 si conosce la concentrazione. E’ questa varietà chimica che può essere considerata come la «materia oscura» della nutrizione – ribadisce l’esperta -, poiché la maggior parte dei composti resta invisibile agli studi sulla dieta, nonché ai consumatori.
Nei prossimi due anni – anticipa Menichetti – creeremo un database di 1000 cibi, in parte già selezionati, scelti perché comuni (ad esempio frutta e verdura come spinaci, mela patata, pomodoro), oltre a cereali e legumi, ma anche cibi come gamberi o alimenti del futuro come gli insetti. «Vogliamo studiare cibi che ci permettano di ricostruire pressoché tutta la dieta – spiega -, usando diverse tecniche, come la spettrometria di massa: lo scopo è svelare identità e quantità dei diversi composti».
L’Intelligenza Artificiale renderà tutto rapido e consentirà di predire quali componenti dobbiamo aspettarci di trovare in un certo cibo sulla base di analogie con altri alimenti già mappati. Il «foodoma», in seguito, diventerà individuale – aggiunge Menichetti – perché ciascuno di noi è esposto a un sottoinsieme dei componenti dei cibi a seconda della dieta. Si arriverà quindi a scrivere il “codice a barre” di ciascun individuo e questo conterrà circa 20 mila costituenti, diversi da persona a persona: tramite questo codice si capirà il rischio individuale delle malattie legate all’alimentazione».
Il codice si rivelerà utile anche per studiare le persone che non riescono a perdere peso o che dopo una dieta ingrassano di nuovo. «Ci aspettiamo che per molti il codice a barre resti quasi lo stesso anche se cambiano alimentazione – sostiene Menichetti -: è come se, inconsciamente, ciascuno di noi fosse attratto da un certo tipo di micronutrienti». Non solo. Saranno anche sviluppate app che, fotografando con lo smartphone il cibo, riveleranno a quali componenti siamo esposti.
Si studieranno infine gli effetti dei composti del cibo sul corpo umano, uno per uno e in combinazione tra loro, così come si trovano in natura. Si comincia a comprendere come piccole molecole presenti in certi alimenti, trasformate nel corpo anche dai batteri intestinali, possano diventare fattori di rischio di malattie: è il caso di alcune sostanze nella carne (la carnitina, in primis) per le malattie cardiovascolari.
«Possiamo pensare all’effetto dei componenti chimici nel cibo come a quello dei farmaci – spiega la specialista -. Queste molecole interagiscono con le reti biologiche e spesso interferiscono anche con i farmaci che assumiamo. Lo scopo – conclude – è far diventare la nutrizione una scienza esatta». —
Fonte www.lastampa.it