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Alzheimer:Una piccola molecola per un nuovo farmaco dall’intestino degli squali

Una piccola molecola presente nell’intestino degli squali potrebbe diventare la base per un nuovo farmaco contro l’Alzheimer.

È quanto emerge da uno studio del team di ricerca internazionale, del quale fa parte il Prof. Fabrizio ChitiProfessore di Biochimica presso il Dipartimento di Scienze Biomediche Sperimentali e Cliniche dell’Università di Firenze e coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico di Airalzh Onlus.

Il Prof Chiti, con un gruppo di studiosi fiorentini di cui fanno parte la Prof.ssa C. Cecchi e la D.ssa R. Cascella, ha collaborato all’indagine – coordinata dal Dipartimento di Chimica dell’Università di Cambridge (Regno Unito), insieme a studiosi degli atenei di Washington (Stati Uniti) e Lund (Svezia) – pubblicata dalla rivista Nature Communications.

Lo studio ha messo in luce la capacità della trodusquemina di bloccare l’effetto tossico degli aggregati di β-amiloide, che si formano nella corteccia e nell’ippocampo del cervello e sono all’origine della malattia di Alzheimer.

“Inoltre, questa molecola – specifica Fabrizio Chiti – ha proprietà peculiari perché, pur non impedendo l’aggregazione del peptide β-amiloide, riduce il tempo di vita degli aggregati intermedi ritenuti tossici, effetto benefico che va ad aggiungersi alla sua capacità diretta di neutralizzare tali aggregati intermedi quando questi si formano”. La scoperta apre nuovi orizzonti di ricerca oltre all’avvio di trial clinici su pazienti con Alzheimer e di altre malattie neurodegenerative.

La malattia di Alzheimer è considerata tra i più importanti problemi socio-sanitari dei paesi industrializzati, problema particolarmente sentito in Italia, dove la popolazione anziana supera in percentuale quella di molti altri paesi occidentali. Sono infatti più di 1.400.000 le persone affette da demenza in Italia, di cui la metà affetti da Alzheimer.

Per questo Airalzh Onlus, Associazione Italiana Ricerca Alzheimer il cui Comitato Tecnico Scientifico è coordinato proprio dal prof. Chiti, ha iniziato dal 2014 a raccogliere fondi per promuovere la ricerca sostenendo non solo gli studi incentrati sui metodi per bloccare la produzione della proteina beta-amiloide ma anche progetti di ricerca focalizzati sulle diagnosi precoci, individuazione di nuovi bersagli farmacologici e metodi alternativi non terapeutici.

 

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