Può essere una scelta sensata, soprattutto per l’ambiente. Ma, se si aumentano i consumi di alimenti di origine biologica per migliorare la qualità della dieta, le probabilità di compiere uno sforzo vano sono piuttosto elevate.
Al di là della categoria di prodotti che si sceglie, biologico non vuol dire più equilibrato per il nostro organismo. È questa la sintesi di uno studio sulla rivista «Nutrients», condotto da quattro studiosi italiani sotto l’egida di Daniela Martini, ricercatrice dell’Università di Milano e membro della Società Italiana di Nutrizione Umana (Sinu). Il lavoro è consistito nel confrontare le informazioni riportate sulle etichette di 569 alimenti confezionati, di origine biologica e non, disponibili su scala nazionale. L’esito? Un sostanziale pareggio, che nel caso specifico gioca a sfavore del «bio».
Alimenti «bio»: cosa vuol dire? Della categoria fanno parte prodotti di origine vegetale e animale realizzati seguendo i principi dell’agricoltura e dell’allevamento organici. Questi non prevedono sostanze chimiche di sintesi (concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi, pesticidi), oltre che Ogm. Gli ingredienti degli alimenti da agricoltura biologica devono essere certificati come tali almeno per il 95%. Idem per le carni, che devono provenire da animali nutriti con mangimi vegetali ottenuti secondo il metodo di produzione biologico. Ciò vuol dire che – a eccezione dell’acqua, del sale e dei pochi additivi ammessi – gli altri elementi devono essere stati realizzati seguendo le indicazioni bio. E la lavorazione deve avvenire lungo una linea indipendente, in modo da evitare «contaminazioni» con i prodotti convenzionali.
La legge non consente, né sulle etichette né attraverso le pubblicità, di veicolare il messaggio che un cibo di origine biologica garantisca una qualità (organolettica, nutritiva o sanitaria) superiore a quella di un analogo alimento convenzionale. Detto ciò, la tendenza a considerare questi alimenti più indicati per la dieta è diffusa. Le vendite di alimenti biologici viaggiano con il segno «più». Da qui il desiderio dei ricercatori di fare chiarezza, confrontando le etichette di quasi 600 alimenti confezionati (prodotti a base di cereali; pane e sostituti; pasta riso e altri cereali; latte, formaggi e bevande di origine vegetale; tè e succhi di frutta; marmellate, miele e creme spalmabili; frutta e verdura; legumi; oli e altri condimenti), nella doppia versione: «bio» e non.
Risultato? «0-0», a eccezione dei confronti che hanno riguardato pasta, riso e cereali e marmellate, creme e miele. Nel primo caso i prodotti biologici garantivano un apporto proteico ed energetico inferiore, a fronte però di un aumento dei grassi saturi. Quanto ai dolci, un contenuto inferiore di zuccheri semplici e carboidrati complessi era in parte bilanciato da un maggiore contenuto proteico. Differenze comunque contenute, che confermano l’impossibilità di considerare una delle due categorie superiore all’altra. Non è invece stato effettuato un confronto tra micronutrienti (vitamine e sali minerali), che in altre circostanze ha premiato i cibi bio. Con effetti però trascurabili sulla salute.
Sul piano nutrizionale non sembrano esserci dunque vantaggi nel prediligere gli alimenti di origine biologica (spesso più costosi). A dimostrazione di ciò, oltre all’ultimo confronto, ci sono diversi studi condotti al fine di valutare se una dieta «verde» proteggesse dalle malattie croniche correlate a una cattiva alimentazione. Da questi non sono emerse differenze rilevanti, soprattutto per quel che riguarda l’insorgenza dei tumori. La spiegazione è duplice. Da una parte bisogna considerare che il livello di fitofarmaci presenti nei prodotti tradizionali è quasi sempre inferiore ai limiti fissati dalla legge. Dall’altra occorre tenere presente che quelli relativi ad altre sostanze cancerogene – micotossine, nitrati, metalli e diossine – sono gli stessi. Sia per i prodotti biologici sia per quelli non. —
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