Roma, 24 febbraio 2022 – Negli ospedali veneti ci sono interi reparti gestiti da cooperative private. Bandi per appalti simili sono stati pubblicati anche nelle Marche. In Liguria lo scenario è equivalente, ma potremmo continuare a trovare esempi analoghi in quasi tutto il Paese. Si tratta di una preoccupante e quantomeno discutibile commistione pubblico-privato causata dalle difficoltà incontrate dal Servizio sanitario ad assumere specialisti. Una ferita della quale il privato si sta approfittando per addentrarsi nella sanità pubblica, e che va assolutamente sanata.
In assenza di professionisti disponibili a lavorare nel Servizio pubblico, per colmare la carenza di personale sempre più Regioni infatti pubblicano gare di appalto rivolte a soggetti privati che quindi introducono negli ospedali medici dipendenti della società privata stessa, e non del Servizio sanitario regionale. Non si conoscono pertanto le condizioni con le quali il privato vincitore dell’appalto assume questi medici, né con quale retribuzione, con quali condizioni contrattuali o tutele. Ma spesso si tratta di medici appena laureati o con specializzazioni diverse rispetto al fabbisogno ospedaliero.
Secondo il governatore del Veneto Luca Zaia, ricorrere alle cooperative è l’unica alternativa per colmare la carenza di personale negli ospedali. La Federazione CIMO-FESMED ritiene invece che affidare il servizio sanitario pubblico a soggetti privati non possa essere ritenuta in alcun caso un’alternativa percorribile e, a ben vedere, ha invece presentato una serie di proposte di natura emergenziale e provvisoria per assumere professionisti: prorogare al 2024 la possibilità di assumere a tempo determinato specializzandi dal terzo anno da stabilizzare una volta concluso il percorso formativo; stabilizzare il personale specializzato assunto nel corso dell’emergenza sanitaria; accelerare le procedure concorsuali; incentivare l’intramoenia. Ma la strada maestra rimane la necessità di rendere l’ospedale pubblico nuovamente attrattivo per i medici italiani, che al contrario, come dimostrato da un sondaggio della Federazione pubblicato nei giorni scorsi, colgono al volo ogni opportunità offertagli per fuggire dal Servizio sanitario nazionale.
Sono i numeri a dimostrare quanto sia importante l’emorragia di medici dal SSN: nel 2020 la Corte dei Conti ha calcolato che negli otto anni precedenti oltre 9mila medici hanno lasciato il Paese per lavorare all’estero, soprattutto in Germania, Regno Unito, Svizzera e Francia, dove le retribuzioni sono considerevolmente più alte e le opportunità di carriera decisamente maggiori. Secondo la Cassa previdenziale dei medici ENPAM, negli ultimi due anni 4mila medici hanno usufruito della pensione di cumulo, mentre circa 3mila medici hanno aderito a Quota 100. Non è stimabile il numero dei medici che hanno scelto di lasciare la dipendenza per lavorare nelle strutture private, ma quel che è certo è che tra il 2010 ed il 2019, analizzando il Conto Economico delle Regioni, l’unica voce con il segno negativo è quella relativa alla spesa per il personale, che si è ridotta di 1,2 miliardi di euro, il 65% relativo proprio alla spesa per i medici: nello stesso lasso di tempo, infatti, non sono stati sostituiti 5mila medici dipendenti del SSN.
Nel frattempo, il taglio di 3.465 Unità Complesse (ridotte del 35,8%) e di 8.168 Strutture Semplici (ridotte del 44,1%) ha appiattito in modo importante le possibilità di carriera: oggi solo 6 medici su 100 possono ambire al ruolo di Direttore di struttura complessa (prima dei tagli il rapporto era pari a 9 su 100) e 10 medici su 100 rivestono il ruolo di Responsabili di struttura semplice (il rapporto precedentemente era pari a 16 su 100). Se a tutto questo si sommano le costanti aggressioni e i continui contenziosi con i pazienti, le penalizzazioni fiscali e amministrative che disincentivano il ricorso all’intramoenia (non a caso i medici che la esercitano sono diminuiti del 20%) e la frustrazione per diritti negati e tutele ignorate, non appare di certo biasimabile la scelta dei colleghi che fuggono dal pubblico.
“Senza un nuovo contratto di lavoro e una riforma complessiva dell’organizzazione ospedaliera, presto affidarsi alle cooperative private costituirà veramente l’unica alternativa per trovare medici che lavorino negli ospedali – commenta il Presidente della Federazione CIMO-FESMED Guido Quici -. E se si tratta di medici non specialisti, la sicurezza delle cure non potrà essere garantita. Un’eventualità drammatica, di cui i cittadini devono essere consapevoli. In ospedale non servono mere sentinelle a guardia dei posti letto, ma medici specializzati e costantemente formati per assicurare la migliore assistenza possibile, riducendo al massimo il rischio clinico. Purtroppo, non è detto che le coop si pongano gli stessi obiettivi”.