Hanno una mutazione genetica che funziona come un ‘doping’ naturale per il cuore e lo ingrossa: il muscolo cardiaco dei pazienti con cardiomiopatia ipertrofica si contrae eccessivamente e diminuisce la capacità di riempimento del ventricolo sinistro. Un cuore ispessito all’inizio è spesso asintomatico e anzi può consentire performance sportive d’eccellenza per alcuni anni, ma con l’andare del tempo diventa più fragile perché si può sfiancare: per questo l’esercizio fisico è stato finora sconsigliato ai pazienti con cardiomiopatia ipertrofica. Le nuove linee guida europee, discusse nel corso del IV “Florence International Symposium on Advances in Cardiomyopathies” organizzato dalla Fondazione Internazionale Menarini e dall’Università di Firenze nel capoluogo toscano il 9 e 10 settembre, danno invece un via libera all’attività fisica anche per queste persone, oltre 100.000 in Italia, sebbene condizionato a un’adeguata valutazione del singolo caso da parte di specialisti cardiologi.
Utile anche lo screening degli adulti, specialmente negli sportivi adulti over 55, attraverso elettrocardiogramma, visita cardiologica ed ecocardiogramma in casi selezionati: lo dimostra uno studio italiano su oltre 30.000 sportivi dagli 8 anni in su, secondo cui lo screening è invece meno necessario nei più piccoli perché appena due su diecimila presentano alterazioni strutturali. Nel corso del convegno, gli esperti internazionali faranno anche il punto su tutti i più recenti progressi nella conoscenza della patologia, dalle nuove promettenti terapie in fase di sviluppo al ruolo dell’analisi genetica con next generation sequencing alle possibilità della terapia genica, dalla stratificazione del rischio di arresto cardiaco e scompenso cardiaco alla gestione medica e chirurgica dei casi più complessi.
“La cardiomiopatia ipertrofica è la patologia genetica cardiaca più diffusa e in Italia riguarda una persona su 500 – spiegano i co-presidenti del congresso, Franco Cecchi del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Neurologiche e Metaboliche IRCCS Istituto Auxologico ospedale San Luca di Milano e Iacopo Olivotto, docente di Malattie Cardiovascolari dell’Università di Firenze, responsabile dell’Unità Cardiomiopatie dell’Ospedale Universitario Careggi di Firenze – Nei pazienti c’è un difetto nei geni delle proteine contrattili del cuore che funziona come un ‘doping’ naturale che ingrossa il muscolo cardiaco e che spesso, nei pazienti giovani, consente ottime performance sportive. Lo sforzo che ne deriva però porta ad alterazioni strutturali progressive: il cuore si ispessisce, diventa più fragile e con il tempo può andare incontro ad aritmie, insufficienza cardiaca e morte cardiaca improvvisa. L’esordio della malattia sintomatica è in genere fra i 20 e i 40 anni e finora si raccomandava ai pazienti di non praticare sport, temendo un maggior rischio di aritmie e morte cardiaca improvvisa; in realtà una restrizione indiscriminata e sistematica per tutti i pazienti non è giustificata. Negli adulti con forme lievi è possibile consentire l’attività fisica dopo un’attenta valutazione del singolo caso e con opportune cautele, dopo aver verificato per esempio che non vi siano aritmie e che sia mantenuta una buona capacità funzionale, ma soprattutto che ci sia un basso rischio di morte improvvisa a 5 anni”.
Lo screening per cardiomiopatia ipertrofica con ecocardiogramma, visita cardiologica ed ecocardiografia in casi selezionati è inoltre utile negli adulti che praticano esercizio fisico, specialmente dopo i 55 anni, come ha dimostrato uno studio condotto su oltre 30.000 atleti sottoposti a visita medica per la partecipazione all’attività sportiva. Come spiegano Cecchi e Olivotto, coordinatori dello studio, “I dati raccolti dimostrano che le anomalie strutturali che potenzialmente predispongono alla morte cardiaca improvvisa sono rare in bambini e ragazzi.. Uno screening che associ l’ecocardiografia per la valutazione della cardiomiopatia ipertrofica alla consueta visita medico-sportiva, che include l’anamnesi familiare, la valutazione clinica e l’elettrocardiogramma, non è perciò utile nei più giovani in termini di rapporto costo-beneficio. Diverso è invece il caso degli adulti: le anomalie sono state identificate soprattutto negli sportivi che hanno superato la pubertà e negli over 55, fra i 19 e i 35 anni infatti il 19% è stato inviato all’ecocardiografia e in appena il 2% l’esame di approfondimento ha evidenziato anomalie, negli over 55 queste percentuali salgono rispettivamente al 38 e all’11%. I protocolli dovrebbero perciò essere ottimizzati modificandoli a seconda dell’età, prevedendo test più approfonditi negli atleti senior”, concludono gli esperti.