“La tromboembolia polmonare si verifica quando un coagulo di sangue che si forma nel circolo venoso periferico arriva a occludere un vaso polmonare – spiega Giovanni Esposito, presidente GISE e direttore della UOC di Cardiologia, Emodinamica e UTIC dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli –. Le condizioni che facilitano la comparsa di trombi sono i traumi, le fratture, l’immobilizzazione, la gravidanza, il cancro e le persone più colpite sono tipicamente i giovani e le donne. I sintomi includono difficoltà di respiro, dolore toracico, battito cardiaco accelerato e si può arrivare a un’instabilità cardiaca che richiede immediato intervento. I pazienti vanno in Pronto Soccorso e spesso il percorso diagnostico è lento, mentre come nel caso dell’infarto acuto del miocardio ogni minuto conta: un intervento tempestivo è fondamentale perché può scongiurare le conseguenze più serie della tromboembolia polmonare, che arrivano fino al decesso”.
Una possibilità di cura è la trombolisi, che serve a sciogliere il trombo liberando il vaso ostruito; tuttavia in Italia circa 1200 pazienti all’anno ad alto rischio possono andare incontro a pericolose emorragie con questo tipo di approccio e non si possono sottoporre a trombolisi. In alternativa il trombo può essere rimosso chirurgicamente, con un intervento che tuttavia è complesso e pochi centri sono in grado di eseguire. La possibilità più all’avanguardia, che combina efficacia e sicurezza, è oggi la trombectomia per via percutanea: come nel caso dell’interventistica cardiologica si accede al circolo tramite catetere attraverso vasi periferici, per arrivare nella sede del trombo ed eliminarlo meccanicamente.
“I possibili candidati sono i pazienti a rischio intermedio-alto, stimati in almeno 10.000 all’anno nel nostro Paese, e i circa 1200 casi con controindicazioni alla trombolisi: in queste situazioni l’approccio transcatetere si è dimostrato efficace e se si interviene tempestivamente la mortalità può essere ridotta– sottolinea Esposito – Per garantire l’accesso dei pazienti a questo tipo di procedure però devono essere superati ostacoli di ordine clinico e organizzativo. Serve infatti creare percorsi diagnostico-terapeutici specifici per la tromboembolia polmonare, la cui terapia richiede un approccio multidisciplinare vista la possibilità di intervenire con farmaci, chirurgia o con una procedura interventistica; soprattutto, serve realizzare una rete di centri che siano in grado di erogare tutte le terapie possibili per poter gestire ogni caso nel modo migliore. Oggi, solo il 2% dei centri di emodinamica italiani può offrire il trattamento transcatetere della tromboembolia polmonare: è fondamentale, invece, che ve ne sia almeno uno in ogni Regione”.