Si diffonde l’insufficienza cardiaca, anche tra i più giovani
corriere.it Elena Meli
È un motore infaticabile, il nostro cuore: batte circa tre miliardi di volte nell’ arco di una vita media. Però può iniziare a perdere colpi e non andare più a pieni giri; allora lo portiamo dal «meccanico» per una riparazione, ma spesso capita che poi non sia più efficiente come prima. Così pian piano funziona sempre peggio e compare lo scompenso cardiaco, un problema di cui si parla poco ma che, complice l’ allungamento della vita, è destinato a riguardare molti.
Già oggi è una delle cause più frequenti di morte, eppure chi lo teme? Pensando alle malattie cardiovascolari, a tutti vengono in mente infarto e ictus. Non certo l’ insufficienza cardiaca cronica, che invece sta iniziando a impensierire parecchio i cardiologi perché i pazienti aumentano anche fra chi è più giovane e dovrebbe avere un «motore» a prova di prestazione.
Lo scorso maggio infatti, durante la campagna di sensibilizzazione sullo scompenso cardiaco promossa dalla Fondazione per il Tuo Cuore – HCF Onlus dell’ Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, sono stati diffusi dati preoccupanti, raccolti su circa 15mila dei 30mila italiani che hanno ricevuto il BancomHeart della Fondazione (si veda accanto): fra i maschi 18-40enni, persone quindi che dovrebbero avere un cuore in perfetta forma, l’ insufficienza cardiaca non è allo 0.2 per cento come ci si aspetterebbe dai dati della letteratura scientifica ma sei volte più diffusa, all’ 1.2 per cento.
«Nelle donne di pari età non c’ è un incremento rispetto all’ atteso, ma questa fotografia ravvicinata di come sta davvero il cuore degli italiani è allarmante – osserva Michele Gulizia, presidente della Fondazione per il Tuo Cuore e direttore dell’ unità di cardiologia dell’ ospedale Garibaldi di Catania -.
Si suppone che possa dipendere almeno in parte dall’ uso di droghe (la cocaina per esempio ha effetti dannosi sul cuore. ndr) e di anabolizzanti: molti giovani hanno il culto della performance fisica a tutti i costi, così per “pomparsi” ricorrono agli ormoni o per resistere agli allenamenti fanno il pieno di energy drink e caffè. Se si esagera, però, il rischio è che il cuore ne risenta».
E si sfianchi, appunto, finendo per non essere più capace di spingere bene in circolo il sangue già intorno ai 40 anni. Con l’ avanzare dell’ età poi la probabilità aumenta: la diffusione di scompenso cardiaco nella popolazione generale è di poco meno dell’ uno per cento, ma sopra i 75 anni si sale al 10 per cento.
Questo perché con il tempo il cuore perde potenza se ha avuto qualche acciacco: «In passato chi aveva un infarto spesso non sopravviveva, oggi è vero il contrario – spiega Gulizia -. Tuttavia nella maggioranza dei casi non si riesce ancora a essere così tempestivi nell’ intervento da azzerare i danni al muscolo cardiaco, sul quale resta una traccia di quanto accaduto che, più o meno lentamente a seconda della gravità della lesione, porterà alla perdita della funzione cardiaca ottimale e quindi allo scompenso. Che è favorito anche dall’ ipertensione, dalle malattie delle valvole, dalla presenza di cardiopatie congenite o infezioni cardiache, dalla sempre più diffusa fibrillazione atriale: il cuore si dilata infatti non solo perché va più veloce del normale, ma anche perché il battito è irregolare».
Un cuore dilatato significa un cuore più stanco, che fa più fatica a contrarsi e a pompare in circolo il sangue, che quindi arriva agli organi con più difficoltà. All’ inizio l’ organismo compensa il deficit, poi compaiono i sintomi: il più tipico è l’ affanno dopo attività che prima non creavano problemi, come salire una rampa di scale. A stanchezza e mancanza di fiato sempre più persistenti si aggiungono gonfiore alle caviglie e alle gambe, segno di un ristagno di liquidi, ma anche capogiri e cardiopalmo.
«Può capitare poi di sentirsi costipati, non perché davvero ci sia un disturbo intestinale, ma perché la vena cava si dilata a causa delle difficoltà di circolazione e nel fegato si accumula acqua, dando così la sensazione di pesantezza addominale – dice Gulizia -. Per la diagnosi serve una visita cardiologica con elettrocardiogramma; l’ ecocardiografia dà la conferma perché misura le dimensioni del cuore, lo spessore delle pareti, valuta lo stato delle valvole e soprattutto quantifica la capacità di contrazione. Questo parametro indica quanto sangue il cuore riesce a pompare in circolo e quindi quanto è compromesso, per stratificare i pazienti e decidere le cure.
Purtroppo l’ insufficienza cardiaca, una volta instaurata, è un problema cronico: si possono avere lunghi periodi con una funzionalità stabile e senza grossi sintomi, ma sempre con il rischio di episodi acuti improvvisi che portano in ospedale e man mano peggiorano le condizioni del cuore. «Tuttavia oggi le terapie sono più efficaci che in passato (si veda a lato): oltre ad aver aumentato la sopravvivenza, anche la qualità della vita dei pazienti è molto migliorata», conclude il cardiologo.