(di Livia Parisi)
Antibiotici, cortisone ed eparina hanno un ruolo fondamentale per curare il Covid-19, ma questa triade è utilizzata molto spesso a sproposito nei pazienti non gravi. “Riscontriamo un uso improprio di questi strumenti che, se utilizzati al momento sbagliato, creano più danni che benefici. E’ una moda iniziata con la seconda ondata e continua in modo preoccupante”, osserva Massimo Andreoni, direttore dell’UOC Malattie Infettive dell’Ospedale di Tor Vergata a Roma.
“Le prescrizioni dettate dal panico sono una malpractice che serpeggia pesantemente – mette in guardia Matteo Bassetti, primario di Malattie Infettive al San Martino di Genova – e in particolare, con un uso indiscriminato di antibiotici stiamo ponendo le basi di una pandemia da germi resistenti, che sarà il vero post Covid”.
Il paziente “si sente rassicurato se vengono prescritti farmaci ma spesso sono controproducenti. A partire dal cortisone, che andrebbe assunto quando la saturazione dell’ossigeno scende sotto il 92%, mentre molto di frequente viene prescritto senza motivo appena arriva il risultato di un tampone positivo”, chiarisce Andreoni, direttore scientifico della Simit (Società Italiana Malattie infettive e tropicali).
I dati di letteratura scientifica però “mostrano che i pazienti che utilizzano cortisone troppo precocemente hanno un andamento peggiore rispetto a chi che lo ha usato quando la malattia si è aggravata, anche perché diminuisce le difese immunitarie dell’organismo”. Altrettanto vale per l’eparina, che aiuta a evitare la formazione di trombi, una delle possibili complicanze del Sars-Cov-2.
“E’ utile – dice Andreoni – solo se il paziente è allettato e non si muove o per chi ha un rischio specifico di eccesso di coagulazione del sangue. Ma se usata in chi non ha queste caratteristiche può esporre a problemi emorragici”. Così come è sbagliato l’uso dell’azitromicina, diventata quasi “il farmaco per trattare Covid” secondo un luogo comune.
Gli antibiotici macrolidi, tra cui l’azitromicina, osserva Bassetti, presidente della Società Italiana Terapia Antinfettiva (Sita), “hanno mostrato di avere effetti antinfiammatori, ma attenzione a usarli quando non servono. Vediamo tanti pazienti che fanno a casa 3 giorni di antibiotici come misura preventiva, mentre vanno usati solo se ci sono segni radiologici di polmoniti o in pazienti ospedalizzati in cui c’è il rischio che il virus apra la porta a un batterio, altrimenti aumentiamo la crescita di batteri resistenti, che sono il vero post Covid. La vera eredità della pandemia di Sars-Cov-2 è una pandemia di infezioni resistenti agli antibiotici, a cui stiamo già assistendo in ospedale”.
In caso di febbre o dolori muscolari lievi va bene il paracetamolo. Nel caso in cui serva un antinfiammatorio più forte, prosegue Bassetti, “se non ci sono controindicazioni specifiche, consiglio l’acido acetilsalicilico, che ha anche effetto antiaggregante”.
Infine, riguardo agli integratori, di cui si fa grande uso in questo periodo, Andreoni sottolinea: “non sono una cura, ma è vero che un organismo che presenta carenze di sali minerali e vitamine risponde meno bene alle infezioni. In particolare nel caso del Covid, studi mostrano che chi ha una carenza di vitamina D ha un andamento peggiore rispetto a chi ne ha nel sangue una quantità normale. Quindi le carenze andrebbero evitate e reintegrate”.
Fonte Ansa.it