(ANSA) – ROMA, 28 SET – Almeno due persone su tre di
quelle sottoposte a chirurgia bariatrica hanno problemi al
fegato (oltre il 10% in forma grave), ma nelle persone con
diabete il danno al fegato è presente in 4 pazienti su 5. Il ‘problema’ in questione è la Nash, la steatoepatite non
alcolica. A dirlo è una ricerca effettuata al Policlinico
Gemelli di Roma, presentata dai giovani soci della Sid, la
Società italiana di diabetologia, per la 56 esima edizione
dell’Easd (European association for the study of diabetes). La Nash è uno degli stadi della steatosi epatica non alcolica
(Nafld), che interessa una persona su 4 in Europa e si associa
di frequente al sovrappeso, all’obesità e
all’insulino-resistenza. Il rischio di questa condizione risulta
triplicato nelle persone con diabete mellito, che sono anche
quelle che rischiano di più l’evoluzione della malattia verso la
Nash e la cirrosi. Al momento, l’unico esame che consente di
diagnosticare questa condizione è la biopsia epatica. Nello
studio è stato analizzato un campione di 309 persone con obesità
grave, tra i 19 e 69 anni, un terzo dei quali affetto da diabete
mellito. Tutti i pazienti erano stati sottoposti a biopsia
epatica nel corso di un intervento di chirurgia bariatrica. La
prevalenza di Nash in questo campione è risultata del 69,2%. Tra
i pazienti con diabete, la prevalenza di Nash è risultata
dell’82,1%. “Il diabete – dice Erminia Lembo, ricercatrice
che ha partecipato allo studio – si conferma un importante
fattore di rischio per Nash, anche se l’unico calcolatore di
rischio che ne tiene conto, il Nafld Fibrosis Score, non mostra
una buona correlazione con il punteggio bioptico valutato con il
Nas”. “Da questo studio – commenta Gertrude Mingrone, senior
author dello studio e direttore Uoc Patologie dell’Obesità,
della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli
Irccs – si evince da una parte la reale prevalenza della Nash e
dall’altra la necessità di individuare in un prossimo futuro uno
score composito, anche con l’aiuto di sistemi come la rete
neurale artificiale, che abbia elevata specificità
nell’individuare i pazienti da sottoporre a biopsia epatica”. Per Francesco Purrello, presidente della Sid, la Società
italiana di diabetologia, “l’importanza di trovare metodi non
invasivi ma precisi per diagnosticare e stadiare questa
complicanza del diabete risiede anche nella utilità di poter
porre diagnosi precoci prima che queste alterazioni evolvano in
cirrosi o epatocarcinoma, come purtroppo in alcuni casi oggi
accade. La diagnosi precoce e una terapia efficace rappresentano le sfide future della ricerca scientifica in questo
ambito”.(ANSA).
Fonte Ansa.it