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Il paese ritrovato: un villaggio che restituirà ai malati di Alzheimer la qualità della vita

È stato inaugurato a Monza un centro per persone affette da Alzheimer orientato all’inclusività e al benessere fisico ed emozionale della persona. Un villaggio con case, orti, teatri e negozi, che si configura come un luogo di cura a 360 gradi

(terra nuova)

Apre le porte ai primi sessantaquattro ospiti il centro per malati di Alzheimer pensato come un piccolo paese in cui ci saranno anche negozi, orti, un teatro, una cappella, un mini market e un bar. L’obiettivo? Dare ai pazienti la possibilità di mantenere il più a lungo possibile la propria autonomia e le abilità residue. Un luogo reale per rallentare il decadimento cognitivo e ridurre al minimo le disabilità nella vita quotidiana, che offre alla persona residente l’opportunità di continuare a vivere una vita ricca e di soddisfare desideri e bisogni.

Il paese ritrovato, questo il nome del centro, è stato progettato dalla Cooperativa Meridiana e sviluppato con il Politecnico di Milano, il Cnr e la Fondazione Golgi Cenci all’interno degli spazi del Centro geriatrico polifunzionale San Pietro di Monza.

«Questa idea nasce dall’esigenza di garantire una vita migliore alle persone con demenza che non possono essere gestite a casa, ma che non sono così compromesse da essere accolte in un nucleo Alzheimer in Rsa1» spiega Roberto Mauri, direttore della Cooperativa Meridiana. «Nel centro sono previsti dispositivi non invasivi per il monitoraggio costante dei pazienti, mentre il giardiniere, il cassiere, la parrucchiera sono operatori con una formazione specifica per assistere gli ospiti fornendo un adeguato sostegno all’autonomia residua e un aiuto nelle difficoltà quotidiane. Abbiamo inoltre già pianificato iniziative con le scuole e le associazioni del territorio per laboratori, momenti didattici e attività perché il modello sia inclusivo e fortemente interconnesso alla città che sta fuori».

Oggi, nel mondo, i malati di Alzheimer sono 47 milioni, 600 mila solo in Italia, per una spesa che, fra costi sociali e sanitari, nel nostro paese sfiora i 38 miliardi di euro2.
«Noi di Meridiana abbiamo sognato di progettare una struttura che non fosse solo un luogo efficiente di assistenza sociosanitaria, ma anche un ambiente in cui la persona avesse l’opportunità di esprimersi. In tutto il centro l’arte, la cultura, la scrittura e l’immagine sono considerate attività terapeutiche che vanno oltre lo standard del servizio assistenziale» continua Mauri.

Abbiamo provato a portare l’arte all’interno degli ambienti di cura creando un set apposito, accogliente e diverso per poter guardare con attenzione lasciando libere le emozioni» aggiunge Marco Fumagalli, ricercatore e operatore della struttura.
«Come sostiene il neurologo Sacks, queste modalità espressive impegnano le parti del cervello che rimangono intatte anche dopo l’insorgere della demenza e il loro utilizzo rappresenta un momento di vero benessere per le persone con fragilità cognitiva».

L’alta complessità della progettazione della struttura offre agli ospiti di questo centro un ambiente ricco che contribuisce a stimolare il cervello e a produrre emozioni positive.
«Armadietti con cassetti luminosi per ricordare ai pazienti di prendere le medicine, spazi in comune per socializzare, e al posto della televisione tradizionale ci sono schermi interattivi dove le famiglie degli ospiti mandano messaggi e fotografie per far vivere loro la continuità della vita famigliare. Ci sono poi delle telecamere che grazie al facetracking aiutano i medici a monitorare costantemente le emozioni e gli stati d’animo del paziente» aggiunge Fumagalli.

Secondo solo al De Hogeweyk olandese3, Il paese ritrovato si caratterizza come modello alternativo che sfida la medicalizzazione dei pazienti puntando sulle emozioni positive.
«Ci sono diversi approcci al malato: il modello sanitario basato sulla diagnostica e sulla terapia farmacologica, quello riabilitativo in cui si cerca di recuperare le funzioni perse del malato, e il modello alberghiero, dove spesso si ha una bella struttura, ma un vuoto di contenuti.
Il paese ritrovato rappresenta un modello confortevole dove la persona è rimessa al centro» spiega Mariella Zanetti, geriatra. «Non ci focalizziamo solo sull’aspetto sanitario e dell’accoglienza, ma su quelle che sono le risorse della persona. Il malato, anche se presenta dei deficit cognitivi, rimane persona in tutto il suo essere: le sue passioni, i suoi hobby, le sue preferenze, la sua personalità restano invariate; il nostro obiettivo è valorizzare queste caratteristiche e stimolarle affinché il paziente mantenga il più a lungo possibile le proprie risorse cognitive e motorie».

 

Emozioni positive e relazioni soddisfacenti sembrano pilastri fondamentalianche per la prevenzione delle malattie e non solo per la loro cura, come afferma la psicologa Alessandra Ravasi: «Per non sviluppare malattie neurodegenerative, avere una buona dotazione genetica è di sicuro importante e costituisce un fattore protettivo, ma come
evidenziato in un recente studio dell’università di Harvard4, poter godere nella vita di esperienze affettive positive nel contesto delle relazioni sociali contribuisce a prevenire alcune malattie neurocognitive».

«Il paese ritrovato è costato dieci milioni di euro, sette dei quali sono stati donati da importanti famiglie del territorio, fondazioni e imprese. Ci mancano gli ultimi tre milioni» spiega il direttore Mauri. «La retta è di novantotto euro al giorno, una cifra che speriamo di ridurre il prima possibile contando anche sulla disponibilità della Regione Lombardia di farsi carico di una parte dei costi, definendo anche quale standard abitativo e gestionale dare alla struttura, che al momento non è né una Rsa, né una casa di cura».

Mauri si dice ottimista: «Non possiamo spaventarci di fronte all’insufficienza di risorse, spaventiamoci piuttosto di rimanere conservatori senza poter innovare e senza migliorare i nostri servizi. Utilizziamo quanto la vita ci offre per realizzare maggiore serenità e una migliore qualità di vita per i malati».

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