La legge sull’aborto compie 40 anni: calano gli interventi, crescono gli obiettori. Approvata il 22 maggio 1978, ha legalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza in Italia, aiutando decine di migliaia di donne, spesso minorenni, in difficoltà
Roma – Ci sono voluti anni di battaglie, soprattutto da parte dei Radicali, ma poi la Legge 194 ce l’ha fatta, definitivamente confermata dal fallimento del referendum abrogativo del 1981.
Com’è la situazione oggi, al di là delle inevitabili polemiche a corollario del quarantennale, con tanto di marce e manifesti choc da parte dei numerosi gruppi antiabortisti?
Due dati su tutti: gli interventi di interruzione volontaria di gravidanza (Igv) sono calati drasticamente dal 1982, anno del picco massimo, a oggi. Nell’82 infatti si registrarono qualcosa come 234.801 aborti volontari, mentre nel 2016, ultimi dati disponibili forniti dal ministero della Salute, gli interventi sono stati 84.926.
L’altra faccia della medaglia è che sono cresciuti enormemente gli obiettori di coscienza: oggi i ginecologi che si rifiutano di praticare interruzioni di gravidanza sono addirittura il 70,9 per cento. Nel 2005 erano il 58 per cento. Il che significa, numeri alla mano, che solo tre ginecologi su 10 sono disponibili.
Va leggermente meglio tra gli anestesisti, dove “solo” il 48,8 per cento fa obiezione. Dati eloquenti, che si riflettono, seppure in misura minore, sul numero delle strutture che praticano gli interventi, che sono il 60 per cento del totale, in lieve crescita sull’anno precedente.
Nell’ultima relazione al Parlamento sull’Igv il ministro Lorenzin ha comunque rassicurato che questi numeri non inficiano il diritto di una donna ad abortire secondo la legge, dal momento che il calo dei medici disponibili è direttamente proporzionale al calo degli aborti: “Per quanto riguarda i carichi di lavoro per ciascun ginecologo non obiettore – sottolineava Lorenzin – pur in presenza di casi che si discostano dalla media, non emergono particolari criticità nei servizi di Ivg. In particolare, si osserva che le IVG vengono effettuate nel 60.4per cento delle strutture disponibili, con una copertura adeguata, tranne che in Campania e P.A. Bolzano (dati 2016)“. Mentre “valutando le Ivg settimanali a carico di ciascun ginecologo non obiettore, considerando 44 settimane lavorative in un anno, a livello nazionale ogni non obiettore ne effettua 1.6 a settimana”.
L’identikit delle donne che compiono la scelta drammatica di abortire descrive il cambiamento della nostra società: calano le italiane – per la prima volta nel 2016 il numero di Ivg e’ sceso al di sotto di 60mila – restano elevati i dati sulle donne di origine straniera, che rappresentano oltre il 30 per cento degli aborti totali.
In questi 40 anni è cambiata anche l’età media: nel calo generale è leggermente aumentato nel 2016 il tasso di abortività nelle donne dai 35 anni in su, e in generale la fascia con più Igv in percentuale è quella di età compresa tra i 25 e i 34 anni.
Ma negli anni è aumentato anche il numero delle 15-16enni, parallelamente all’abbassamento progressivo dell’età media per i primi rapporti: nel 2016 ci sono stati 2.596 interventi, il 3 per cento del totale, comunque un dato molto minore alla media europea.
Per quanto riguarda lo status, nel 2016 il 46,5 per cento delle donne italiane che hanno abortito era in possesso di licenza media superiore, mentre il 45, 9 per cento delle straniere aveva la licenza media. Il 47,4 per cento delle italiane risultava occupata (in aumento rispetto al 2015, quando le occupate erano il 42,9%), mentre per le straniere la percentuale delle occupate è del 39,2 per cento.
Per le italiane la percentuale delle nubili (57,8%) è in aumento e superiore a quella delle coniugate (35,6%), mentre nelle straniere le percentuali sono molto più simili (46,8%le coniugate, 47,3% le nubili). Il 43,9 per cento delle donne italiane che ha eseguito una Ivg non aveva figli.
In generale, tra luci e ombre, i dati dicono che l’aborto volontario, dopo una prima fase iniziale, è costantemente diminuito, anche secondo l’analisi generazionale, e non è mai stato un mezzo di controllo delle nascite.
La separazione sempre più netta fra sessualità e procreazione aumenta il tempo che intercorre fra l’inizio dell’attività sessuale e la nascita del primo figlio: è questo un periodo in cui le gravidanze sono spesso indesiderate. Anche se i tassi di abortività delle giovanissime (tra i 15 e i 20 anni) delle generazioni più recenti mostrano un andamento diverso rispetto a quello di altre fasce d’età: pur restando fra i valori più bassi dei Paesi occidentali, hanno avuto negli ultimi anni prima un aumento, seguito da una stabilizzazione e poi da una diminuzione, quest’ultima meno evidente nelle 15-16enni. Ciò potrebbe essere legato alla tendenza all’aumento nelle giovanissime del numero dei partner, che si ridimensiona con l’età, e all’inizio sempre più precoce dei rapporti sessuali.
Al tempo stesso, tuttavia, si osserva in Italia, in questa fascia di età, una minore diffusione della contraccezione ormonale, rispetto ad altri Paesi europei con cui siamo soliti confrontarci (Svezia, Gran Bretagna, Francia), dove a un utilizzo nettamente maggiore della pillola contraccettiva corrisponde tuttavia un altrettanto maggiore tasso di abortività.
Dati recenti sulla contraccezione mostrano tra i giovani (15-24enni di entrambi i sessi) una diffusione sempre maggiore del profilattico, che ha la duplice funzione di minimizzare il rischio di gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili.
Rispetto agli altri Paesi europei siamo ancora distanti dalla diffusione più massiccia della pillola contraccettiva, notoriamente più efficace del profilattico. Nonostante ciò, fra le giovani italiane si osserva una percentuale bassa di gravidanze e una bassa abortività. Un dato che può essere parzialmente spiegato, sostiene il ministero della Salute nell’ultima relazione, dal fatto che i nostri giovani, rispetto ai paesi Nord Europei, restano più a lungo in famiglia, trovandosi a gestire anni di attività sessuale (non solo in età adolescenziale) continuando a vivere con i propri genitori. Questo fa sì che la frequenza dei rapporti sessuali e il numero dei partner, seppur in aumento rispetto alle generazioni precedenti, siano comunque inferiori rispetto ai coetanei di altri Paesi europei.
Infine, il livello di istruzione è risultato fortemente associato al ricorso all’Ivg: donne con titolo di studio più basso presentano valori di abortività più elevati in tutte le generazioni. L’empowerment delle donne rappresenta, quindi, uno strumento efficace per indirizzare le loro scelte riproduttive in maniera più consapevole.