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Malattia di Crohn: indagine conferma che le rinunce alimentari hanno forte impatto sul benessere psicologico di bambini e adolescenti

Un’alimentazione più consapevole può aiutare a controllare i sintomi e a ridurre lo stress

Le malattie infiammatorie croniche dell’intestino (MICI) – come la Malattia di Crohn, che solo in Italia colpisce circa 150.000 mila persone, in 1 caso su 4 con diagnosi prima dei 20 anni – hanno un forte impatto sulla qualità di vita e in particolare sulla socialità, soprattutto tra bambini e adolescenti.

Nel 71% dei casi chi convive con una MICI dichiara di soffrire a causa delle limitazioni imposte alla propria vita relazionale e il 41% si sente emarginato dai propri coetanei. Ingrediente essenziale della socialità, la nutrizione diventa spesso la principale fonte di stress per le limitazioni che impone sulle scelte alimentari e dunque sullo svolgimento delle attività quotidiane. Nel 46% dei casi, chi convive con MICI si sente protagonista di “situazioni spiacevoli” nel condividere i pasti con i suoi pari e in 6 casi su 10 i pazienti accusano disagio anche in famiglia.

La campagna Crohnviviamo

Questo lo scenario emerso dall’indagine del centro EngageMinds HUB dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, condotta nel 2021 nel contesto della campagna sociale “Crohnviviamo – Storie di giovani che la Malattia di Crohn non può fermare” e promossa da Modulen – Alimento a fini medici speciali per chi ha la Malattia di Crohn di Nestlé Health Science – in collaborazione con l’associazione AMICI Onlus. L’indagine ha confermato le sfide e difficoltà derivanti dalle MICI in età adolescenziale, che vanno ad influire sull’ambiente sociale, familiare e scolastico e si è conclusa con una serie di interviste qualitative di approfondimento, sempre curate dal centro EngageMinds HUB, che hanno dato voce alle storie ed esperienze dirette dei pazienti, per cogliere l’impatto emotivo delle rinunce alimentari sulla quotidianità e le relazioni sociali ed essere al loro fianco nel cercare di migliorare la loro qualità di vita. Attraverso la raccolta e l’analisi dei dati e grazie al coinvolgimento diretto, tramite interviste, degli adolescenti con MICI, la campagna ha permesso di stabilire un punto di partenza condiviso per strutturare nuove possibili soluzioni volte a migliorare l’impatto sociale della malattia, evidenziando il ruolo positivo che una nutrizione più consapevole può avere nella vita dei pazienti.

La percezione della malattia

Un primo aspetto rilevante emerso dalla ricerca qualitativa, che ha coinvolto in particolare preadolescenti (14-15 anni) e adolescenti (16-18 anni) con MICI, riguarda la percezione della malattia: la consapevolezza delle problematiche che la MICI può comportare, tra gli intervistati, non è arrivata al momento della diagnosi ma dopo tempo, con il sopraggiungere delle conseguenze dirette della malattia e delle terapie assunte per gestirla. Quanto dichiarato dai ragazzi trova riscontro nei risultati della survey quantitativa: in più del 40% dei casi l’impatto dell’alimentazione sulla vita sociale è andato aumentando dopo l’esordio .

“Quando parliamo di MICI in età pediatrica e nell’adolescenza, un aspetto chiave è la responsabilizzazione dei giovani pazienti” – spiega la Professoressa Antonella Diamanti, Responsabile UOS Riabilitazione Nutrizionale presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. “Si tratta di un presupposto fondamentale che aiuta a raggiungere maggiore autonomia nella gestione quotidiana dell’alimentazione. Un obiettivo da raggiungere aumentando la loro consapevolezza rispetto alla composizione degli alimenti e al rapporto tra alimentazione e sintomatologia gastrointestinale. Ciò comporta che il colloquio e la relazione coinvolga strettamente il ragazzo adolescente e meno la famiglia”.

Il rapporto con l’alimentazione

Dalle interviste, è emerso che ciascun paziente con MICI instaura un rapporto molto personale con il cibo, che si evolve lungo un percorso empirico, basato su un meccanismo di “prova ed errore”, ma principalmente ancorato alla strategia dell’evitamento di certi alimenti. Il ruolo del paziente nel riconoscere quali alimenti possono portare a sentirsi male è certamente importante, ma è fondamentale una presa in carico completa dei giovani pazienti, che sia il più possibile multidisciplinare. Se occorre poter sempre fare affidamento sul gastroenterologo – che rimane la fonte principale di informazione (71% dei casi) – l’essere seguiti con costanza da uno psicologo è per molti ragazzi di grandissimo aiuto per gestire le ricadute psicologiche dovute al disagio alimentare.

“Le MICI, per il fatto di essere caratterizzate da una disabilità invisibile e per i sintomi che le contraddistinguono, sono malattie solitarie” – racconta Salvatore Leone, Direttore Generale AMICI Onlus. “Per affrontarle serve il supporto, il sostegno, la vicinanza non solo dei familiari e dei medici, ma anche delle persone che interagiscono col paziente in ogni fase della sua vita. L’Associazione A MICI Onlus, attraverso un metododilavoroinnovativochepromuoveattivitàdiconfrontoconiprincipaliattoridello scenario sanitario e istituzionale, partendo però dall’esperienza dei pazienti, si è sempre fatta portavoce dei reali bisogni del cittadino affetto da malattie infiammatorie croniche intestinali. Le ricerche di buona qualità, come questa, sono il presupposto fondamentale per interventi efficaci di Sanità Pubblica. E i dati di questa indagine confermano, laddove ce ne fosse bisogno, l’importanza della corretta informazione e degli sforzi costanti di AMICI per trovare elementi di miglioramento che vanno nella direzione di una migliore qualità dell’assistenza e della vita”.

Gli Alimenti a Fini Medici Speciali

Inoltre, nella gestione quotidiana dell’alimentazione, sia nelle fasi acute della malattia che in remissione, possono essere di grande aiuto gli Alimenti a Fini Medici Speciali (AFMS), che i ragazzi intervistati dichiarano di assumere per lungo periodo con risultati soddisfacenti. Circa alla metà dei partecipanti (48%) è stato raccomandato l’uso di AFMS durante la fase attiva della malattia ed al 27% in fase di mantenimento. Gli AFMS costituiscono dunque un aiuto prezioso che permette ai ragazzi di controllare più facilmente le proprie scelte alimentati.

“La campagna ‘Crohnviviamo’ ha permesso di individuare il legame tra alimentazione e bisogni psicologici e relazionali nelle persone con MICI, in particolare tra i più giovani. È un punto di partenza importante per aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica su queste malattie, aiutando concretamente chi ne è colpito a sentirsi meno isolato” – spiega Giulio Gandolfi, BEO Nestlé Health Science Italia e Malta. “Come azienda leader nel proporre soluzioni nutrizionali di alto profilo, forniamo strumenti che permettono ai ragazzi di semplificare e controllare più facilmente le proprie scelte alimentari. Inoltre, abbiamo messo a disposizione dei pazienti la piattaforma digitale Modulife, dedicata alla gestione della malattia di Crohn attraverso la dieta”.

L’impatto sulla sfera emotiva e psicologica

Se i ragazzi tendono ad aprirsi con i familiari e gli amici più stretti, con i compagni di scuola e i conoscenti questa condivisione risulta più complicata, anche per via dell’invisibilità della malattia che spesso è sconosciuta e difficile da spiegare. Nel rapporto con insegnanti ed educatori, sostengono i ragazzi, è importante che non venga affibbiata l’etichetta di “malato”, soprattutto al momento del rientro a scuola dopo un eventuale periodo di assenza: le MICI non devono costituire un motivo di esclusione dei ragazzi dalle attività scolastiche, ricreative e sportive.

“Dalla ricerca emerge chiaramente come per la maggior parte degli intervistati l’alimentazione non abbia solo una valenza funzionale ma anche psicologica, sia positiva che negativa ” – conclude la Professoressa Guendalina Graffigna, Direttrice del centro EngageMinds HUB. “Il rapporto con il cibo è molto personale e diversificato, ma tutti i pazienti con MICI confermano che l’alimentazione incide pesantemente sul proprio benessere” “Le difficoltà legate alla gestione della dieta, con le ricadute della malattia sulle proprie scelte alimentari, permangono anche nell’età adulta e risultano avere un impatto significativo nel riconfigurare la rete di relazioni sociali della persona che soffre di MICI, anche sul lavoro. E’ dunque prioritario orientare supporti, iniziative di educazione e di ascolto rivolte ai pazienti (ma anche a chi li assiste) in merito ad una corretta gestione della dieta, a partire dalle scelte degli alimenti per arrivare ad una maturazione psicologica necessaria per una buona convivenza emotiva con la malattia ”.

La campagna “Crohnviviamo” continuerà a dare voce ai pazienti e alle loro esigenze, da quelle legate alla dieta e all’educazione alimentare, a quelle relative alla sfera psicologica, come la necessità di sentirsi compresi. Dalle interviste è emerso chiaramente il bisogno di trovare nuovi canali e modi per esprimere i bisogni psicologici legati alla convivenza con le MICI Per “essere capiti” i ragazzi hanno bisogno di potersi confrontare con adulti e coetanei che siano più consapevoli e sensibilizzati di fronte alle malattie infiammatorie croniche intestinali.

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