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Morte cardiaca improvvisa, non più una tragica fatalità: uno studio italiano ne rivela i meccanismi

Scoperta dei cardiologi dell’ospedale San Donato di Arezzo: le aritmie fatali nei pazienti affetti da sindrome di Brugada, rara malattia del cuore che forse ha causato la morte di Davide Astori, dipendono da alterazioni su cui si può intervenire

Un importante studio della Cardiologia dell’ospedale San Donato di Arezzo è stato appena pubblicato sulla più importante rivista cardiologica mondiale, Journal of the American College of Cardiology.

I cardiologi aretini hanno scoperto i meccanismi che determinano il rischio di aritmie fatali nei pazienti affetti da sindrome di Brugada, una rara malattia del cuore che può causare la morte cardiaca improvvisa, soprattutto in soggetti giovani altrimenti considerati completamente sani. Il caso più celebre legato a questa patologia, è quello del calciatore e capitano della Fiorentina, Davide Astori, che probabilmente ne era affetto.

“Sin dalle prime descrizioni agli inizi degli anni ’90 la sindrome di Brugada – spiega Maurizio Pieroni, responsabile dello studio scientifico e dell’ambulatorio cardiomiopatie e malattie cardiache rare – è stata considerata un disturbo esclusivamente dell’impianto elettrico del cuore, legata ad alterazioni genetiche dei canali ionici senza alterazioni del cuore e del muscolo cardiaco. Abbiamo invece dimostrato che importanti alterazioni del muscolo cardiaco sono presenti nella maggior parte dei pazienti e sono alla base delle alterazioni elettriche e delle aritmie mortali. Abbiamo rilevato una mappatura elettrica del cuore, evidenziando delle aree elettricamente anomale e prelevandone dei campioni di muscolo cardiaco. L’esame di queste parti al microscopio ha evidenziato che in oltre il 75% dei casi è presente un’infiammazione del muscolo cardiaco e che tale infiammazione è maggiormente presente tanto più sono estese le aree elettricamente anomale”.

Tra tutti i soggetti con sindrome di Brugada, fortunatamente solo la minoranza va incontro ad aritmie fatali.

“La grande sfida per il cardiologo – continua Pasquale Giovanni Notarstefano, responsabile della Aritmologia e co-responsabile dello studio – è proprio individuare, tra tutti i soggetti asintomatici ma con un elettrocardiogramma diagnostico, quelli maggiormente a rischio di aritmie gravi, e che necessitano quindi di essere protetti con l’impianto di un defibrillatore. Questo studio accende una nuova luce su questa area di rischio ad ora non completamente definita. La propensione ad avere aritmie gravi potrebbe aumentare con l’aumentare dell’estensione dell’area elettricamente anomala ed in presenza di infiammazione del muscolo cardiaco, gettando quindi le basi per un nuovo modo di definire il rischio aritmico di questi pazienti”.

Questa scoperta, oltre ad importanti significati prognostici, in un futuro non troppo lontano, avrà importanti ripercussioni anche terapeutiche. Negli Stati Uniti è stata già sperimentata l’efficacia della terapia anti-infiammatoria con cortisonici in aggiunta alle terapie convenzionali, nel debellare aritmie gravi in casi di soggetti affetti dalla sindrome.

“Questo studio è stato possibile grazie alla determinazione ed al lavoro di gruppo dei cardiologi di Arezzo – afferma Leonardo Bolognese, direttore del Dipartimento Cardioneurovascolare della Ausl Toscana Sudest-  i quali hanno eseguito un tipo di procedura, la biopsia cardiaca guidata dal mappaggio elettroanatomico, che viene eseguita, in Toscana, solo ad Arezzo e in Italia ed Europa in pochissimi centri. Nel nostro Dipartimento la cura del paziente si affianca da sempre alla ricerca scientifica, presupposto indispensabile per garantire ai nostri pazienti le migliori conoscenze e terapie. Questo vale in particolare per malattie meno conosciute ma non per questo meno letali, come la sindrome di Brugada e le cardiomiopatie”.

Recentemente altri gruppi hanno proposto la “cura” di questa sindrome attraverso una ablazione (ossia una bruciatura con radiofrequenze) proprio nella zona del cuore dove l’equipe aretina ha eseguito le biopsie.

“La presenza di alterazioni strutturali evolutive in questa regione del cuore – conclude Bolognese- evidenziate da questo studio, aggiunge un presupposto fisiopatologico per tale approccio. Resta da chiarire se l’efficacia acuta dell’ablazione verrà confermata nel lungo termine”.  

Lo studio è stato supportato da un finanziamento della Fondazione Telethon assegnato a Maurizio Pieroni ed è stato condotto in collaborazione con Antonio Oliva dell’Università Cattolica di Roma e con Ramon Brugada della Università di Girona in Spagna, che ha scoperto la sindrome.

 

 

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