Conoscere e condividere, tutti insieme, l’articolata realtà della PKU: è solo così che possiamo fare la differenza. È con questo intento che 6 Associazioni Pazienti, medici e famiglie coinvolti dalla Fenilchetonuria (PKU), una malattia metabolica rara, che nel mondo interessa più di 50.000 persone e che nella sola Italia si stima colpisca 1 bambino ogni 2.581 nati, apriranno le porte del primo evento nazionale, PKU&Noi, che si terrà online sabato 26 giugno a partire dalle 10:00 e sarà visibile per tutti, gratuitamente, preregistrandosi sul sito pkuenoi.it. L’obiettivo di questo incontro è quello di dare voce ai tanti volti della Fenilchetonuria, con testimonianze di genitori e figli, conoscere le novità terapeutiche e soddisfare curiosità sospese che attengono al vissuto quotidiano, cosa fare se si vuole fare sport, o come organizzarsi con le terapie mentre si è in viaggio, per esempio. Ma non è tutto, tra gli scopi c’è anche quello di sensibilizzare la popolazione tutta su questa patologia, che si presenta fin dalla nascita e che è caratterizzata dalla mutazione di un gene, la fenilalanina idrossilasi (PAH), necessario per il metabolismo della fenilalanina (Phe), un aminoacido essenziale presente in quasi tutti gli alimenti proteici. Ma perché è importante sensibilizzare tutti? Nonostante dai primi anni ’90 lo screening neonatale per indagare la presenza o meno di PKU viene effettuato su tutto il territorio nazionale, di questa patologia se ne parla ancora troppo poco. E ancora meno dei vissuti di chi ci ha a che fare, che non è solo quello dei pazienti, ma è anche quello delle madri e dei padri, dei nonni, degli amici, dei compagni di scuola, degli insegnanti…
La comunicazione della diagnosi avviene alla nascita del figlio e, in genere, per i genitori è uno shock. «Le madri e i padri, in questo momento, hanno bisogno che le loro paure trovino ascolto, hanno bisogno di sostegno e di essere accompagnati nella conoscenza della malattia, della sua gestione. Lo psicologo, fin dalla diagnosi, sarà un ponte che collegherà i genitori e lo staff medico che seguirà il figlio, per fare anche il focus su quelle che potrebbero essere le reazioni nascoste di quel momento, per creare empatia tra loro e il curante», premette Chiara Cazzorla, psicologa e psicoterapeuta presso la U.O.C. Malattie Metaboliche Ereditarie, dell’A.O. di Padova.
La cura principale della PKU è la dietoterapia, che si dovrà seguire a vita: in cosa consiste? «Nell’esclusione o nella limitazione degli alimenti contenenti l’aminoacido fenilalanina, che si trova nella maggior parte dei cibi ricchi di proteine come carne, pesce, uova, salumi, ma anche pasta e pane comuni. Inoltre, si aggiungono alimenti dietetici speciali a ridotto apporto di proteine e formule con aminoacidi, vitamine e minerali prive di fenilalanina, per poter soddisfare i fabbisogni nutrizionali di chi è affetto da Fenilchetonuria», spiega Alice Dianin, dietista presso l’AOU di Verona, centro regionale per lo screening neonatale, la diagnosi e il trattamento delle malattie metaboliche ereditarie e le malattie endocrinologiche congenite. «L’obiettivo principale della dieta è il mantenimento di valori ematici adeguati, per evitare le complicanze soprattutto neurologiche della malattia e per assicurare crescita e sviluppo motorio e cognitivo normali. Ecco perché va seguita per tutta la vita, sapendo che la dieta è sempre personalizzata, e accuratamente studiata e calcolata secondo i fabbisogni e la gravità della patologia»
Soprattutto durante il periodo dell’infanzia, però, seguire la dietoterapia può essere anche un fattore che fa sentire il bambino escluso o diverso a scuola, durante l’ora della merenda o durante le feste di compleanno per esempio. «È fondamentale che i genitori acquisiscano sin da subito gli strumenti per comunicare al meglio con il loro bambino anche questi aspetti. Spiegando, attraverso l’uso di metafore, esempi o immagini che ai più piccoli sono più familiari, il perché delle visite, della dieta, della differenza dei cibi rispetto agli altri, coinvolgendoli nella gestione della malattia cucinando insieme fin dall’inizio, mostrandogli quali sono le farine adatte a loro o come si usano i preparati di miscele aminoacidiche. Questo aiuterà il bambino nel suo processo di autonomia e di autoefficacia. E non solo: lo metterà nelle migliori condizioni di condividere con gli amici o con i compagni il perché della differenza della sua dieta. La differenza, allora, non sarà vista più come un limite, ma sarà una caratteristica», aggiunge Chiara Cazzorla.
L’adolescenza, lo sappiamo, è una fase della vita articolata per tutti. E lo è anche per i ragazzi con Fenilchetonuria (e per i loro genitori). Qualche trasgressione alle regole potrebbe esserci, così come la voglia di viaggiare, di studiare all’estero, o di sperimentare quanto non si è ancora sperimentato, dovendo continuare a seguire la dietoterapia e assumendo gli integratori necessari anche fuori casa. «La letteratura ci dice che l’aderenza alla terapia, in questo momento della vita dei ragazzi, può subire un forte scossone. Noi, da un certo punto di vista, ce lo aspettiamo, ed è lì che bisogna rilavorare sui genitori e sui ragazzi: non ci stiamo più rivolgendo a un paziente pediatrico, ma a un adolescente e dobbiamo dargli altri strumenti per gestire la dieta fuori casa, cambiando sia il nostro approccio che quello dei genitori. Inizia il cosiddetto momento della transizione, dall’età pediatrica all’età adulta», osserva Chiara Cazzorla.
E se una donna con PKU desidera una gravidanza? «Prima di tutto, va programmata con il centro che la segue», suggerisce Giacomo Biasucci, Direttore dell’U.O. di Pediatria e Neonatologia dell’Ospedale Guglielmo da Saliceto di Piacenza, Centro di Riferimento Regionale per le Malattie Metaboliche Ereditarie. «Già da prima del concepimento, l’attenzione alla dietoterapia dovrà essere ancora più alta, affinché i valori di fenilalanina siano compresi tra 120 e 360 micromoli per litro di sangue. Valori più alti, anche durante la gestazione, potrebbero creare un danno teratogeno: il meccanismo di biomagnificazione a livello placentare della fenilalanina darà valori ematici di fenilalanina al feto fino al doppio rispetto alla madre, esponendolo a rischi di malformazione cardiaca, micrognazia, ma soprattutto alla microcefalia, ossia uno sviluppo ridotto del cervello che compromette la struttura e le funzioni del sistema nervoso centrale», sottolinea Biasucci. Si può trasmettere la Fenilchetonuria al bambino? «Questa è una paura frequente delle future madri con Fenilchetonuria, ma la trasmissione della malattia al figlio è possibile solo se anche il partner ne è un portatore sano. Può però esserci il 50% di possibilità che il bambino sia un portatore sano della malattia. Il vero problema da gestire, tuttavia, rimane quello della compliance alla dietoterapia degli adulti: la Fenilchetonuria non è una malattia che si vede, o che ha degli effetti visibili nell’immediato quando si sgarra, ma potrebbe averli in un periodo successivo, come difficoltà di concentrazione, di memoria, di calcolo, a titolo di esempio».
Quali le novità terapeutiche? «Per tenere sotto controllo l’accumulo tossico di fenilalanina, da alcuni anni è già presente un principio attivo, la sapropterina dicloridrato, utilizzabile in pazienti selezionati. La novità terapeutica, recentemente approvata anche dall’Agenzia Italiana del Farmaco, è rappresentata dalla terapia enzimatica a base di pegvaliase, un enzima in grado di degradare la fenilalanina, impedendole di accumularsi nell’organismo. Questo farmaco viene somministrato per via sottocutanea,l’iniezione dovrà essere ripetuta per lungo tempo con dosaggio ‘calibrato’ per ogni singolo paziente», risponde Sabrina Paci, pediatra e dottore di ricerca presso l’U.O. Clinica Pediatrica, Neonatologia e Patologia Neonatale dell’ASST Santi Paolo e Carlo, Presidio San Paolo, Università degli Studi di Milano. Lo possono assumere tutti? «No, i pazienti candidabili vanno accuratamente selezionati, potendo essere utilizzato solo in chi ha più di 16 anni con insufficiente controllo dei valori di fenilalanina plasmatica. Anche se questo non vuol dire abbandonare del tutto la dietoterapia. È un farmaco molto promettente, che viene già utilizzato con buoni risultati negli USA e in Europa, ed è rimborsato dal sistema sanitario nazionale».
Quali le novità sui prodotti aproteici e sulle miscele aminoacidiche? «La prima dieta per Fenilchetonuria è stata ideata negli anni ’50. Da allora sono stati creati numerosi prodotti sia per quanto riguarda gli alimenti dietetici che per le miscele aminoacidiche. Attualmente in Italia sono stati approvati vari alimenti dietetici aproteici e ipoproteici come pasta, pane, prodotti da forno e dolci, sostituti della carne, del formaggio, delle uova, che sono simili agli alimenti normali e possono essere ordinati in farmacia in esenzione. Sono disponibili in Italia molte miscele aminoacidiche, anch’esse in esenzione, con caratteristiche diverse a seconda dell’età del paziente. Le formulazioni variano da latti in polvere o liquidi, miscele pronte o da ricostituire, con o senza aromi aggiunti. Rappresentano una parte fondamentale della dieta e c’è una ricerca vivace per poter migliorare la loro palatabilità, spesso scarsa. Da anni si usano anche prodotti derivati dal siero di latte come il glicomacropeptide e altre miscele ricche di aminoacidi larghi neutri. Tra le novità vi sono miscele con aminoacidi microincapsulati per mascherare il gusto e per cercare di mimare l’assorbimento fisiologico delle proteine», dice Alice Dianin.
E chi ha la PKU e vuole fare sport, che attenzioni deve avere? «Innanzitutto, fare sport non è una controindicazione nei pazienti con Fenilchetonuria che seguono la terapia raccomandata dal centro di riferimento. Anzi, fare del semplice esercizio fisico fino a seguire uno sport anche a livello agonistico, è un’attività da favorirsi, un’attività che se diventa un’abitudine di vita aiuta anche a non aumentare di peso e a contribuire alla prevenzione della comparsa di diabete, patologie cardiovascolari o altre problematiche tipiche dell’età e che nei pazienti PKU hanno la stessa, se non una superiore, possibilità di manifestarsi rispetto al resto della popolazione. Vale per tutti, pertanto anche per chi ha la Fenilchetonuria, mantenere una buona idratazione; in particolare è consigliato reidratarsi bene dopo l’attività sportiva, evitando le bevande con aspartame, che non sono indicate per chi ha questa malattia. Inoltre, specialmente se l’attività è intensa è importantissimo dirlo al dietista di riferimento affinché si possano adeguare gli apporti dietetici – in particolate l’apporto di carboidrati prima e dopo l’attività, e ricalcolare gli apporti di sostituti proteici. Nel caso il paziente si rivolgesse ad un nutrizionista dello sport si raccomanda di informare il/la dietista del centro metabolico affinché si creino sinergie nella dieta da seguire», suggerisce Gaia Piraccini, Direzione Medica, PIAM Farmaceutici SPA.
Il Covid ci ha fatto conoscere meglio la telemedicina e il suo utilizzo anche per seguire chi è affetto da PKU. «Sì, ci ha permesso di entrare nelle case dei nostri pazienti, e di vederli al di fuori dai contesti ambulatoriali. Ci ha permesso di mantenere viva la possibilità di ascoltare i racconti dei nostri pazienti», osserva Andrea Bordugo, direttore dell’U.O.S. Malattie Metaboliche Ereditarie dell’AOUI di Verona, centro regionale per lo screening neonatale, la diagnosi e il trattamento delle malattie metaboliche ereditarie e le malattie endocrinologiche congenite. Continueremo a usare questo strumento in futuro, come integrazione alle visite tradizionali? «Il Covid ha accelerato dei cambiamenti che erano solo timidamente presenti nel nostro quotidiano, facendoli esplodere, anche nella loro bellezza. Non torneremo più indietro, quindi sì, sarà uno strumento che continueremo a utilizzare perché ci permette di raggiungere realtà anche distanti da dove si trova il centro di cura, come piccoli paesini di montagna per esempio, di poter interagire con gli altri medici che contribuiscono alla presa in cura del bambino, di avere maggiori collegamenti con i pediatri, creando davvero una rete di competenze efficace. La telemedicina, però, non è solo messaggi, mail o videochiamate, è molto di più. Va conosciuta, utilizzata in modo empatico, non facendo più sentire la distanza di uno schermo come un limite, ma come un’ulteriore possibilità di prenderci cura dei nostri pazienti. Grazie a questo strumento, siamo riusciti a fare regolarmente i controlli di fenilalanina dando riscontri dopo pochissimi giorni, visibili sul fascicolo sanitario elettronico».