Stent temporanei e minuscoli tiranti ancorati all’esterno della prostata. Energia del laser e del vapore acqueo. Tutte le più nuove tecniche chirurgiche per contrastare l’ingrossamento benigno della prostata, una condizione urologica che riguarda oltre 6 milioni di italiani over 50
Riccione – Dagli stent temporanei a minuscoli tiranti ancorati all’esterno della prostata, dall’energia del laser a quella del vapore acqueo: sono solo alcune delle ultimissime tecniche chirurgiche nate per contrastare l’iperplasia prostatica benigna, una patologia che colpisce oltre 6 milioni di italiani over 50, la più diagnosticata condizione urologica negli uomini tra i 45 e i 74 anni. Ne soffre il 50% dei maschi tra 51 e 60 anni, il 70% dei 61-70enni, addirittura il 90% negli ottantenni. Sono definite tecniche ultra mini invasive, sono modernissime, efficaci, in grado di eliminare gli sgradevoli effetti collaterali spesso provocati dalla cura farmacologica e, grazie alla loro diversità/variabilità, adatte alla maggior parte dei pazienti. I vantaggi che presentano sono notevoli: risolvono il problema una volta per tutte e mantengono la funzione eiaculatoria del paziente nella fase post operatoria. Senza contare che si effettuano in regime ambulatoriale o di day hospital, alleggerendo dunque la pressione sulle strutture ospedaliere tuttora alle prese con l’emergenza pandemica. Caratteristiche, utilizzo e diffusione delle terapie ultra mini invasive sono uno dei temi affrontati nel corso del 94° Congresso Nazionale della Società Italiana di Urologia SIU, in corso fino al 19 ottobre a Riccione.
“I risultati clinici di queste nuove tecniche chirurgiche sono ancora in fase di validazione, ma la loro efficacia clinica e sicurezza sono già state comprovate – sottolinea Rocco Damiano, direttore del dipartimento di urologia all’università Magna Graecia di Catanzaro e componente del Comitato Esecutivo della SIU –. La prova sta nel fatto che hanno già trovato spazio all’interno delle Linee Guida per il trattamento dell’adenoma di prostata realizzate dalla Società Europea di Urologia (EAU)”.
Tra le caratteristiche più importanti di queste nuove tecniche c’è una maggiore capacità di alleviare e risolvere i sintomi rispetto alla cura farmacologica: “L’uso dei farmaci è di solito la prima scelta di trattamento, ma porta con sé effetti collaterali come l’ipotensione o l’eiaculazione retrograda, più un insufficiente controllo dei sintomi che può sfociare in eventi avversi, dal sangue nelle urine a infezioni ricorrenti, fino a calcoli alla vescica – fa notare Walter Artibani, urologo e segretario generale della SIU –. Tutto ciò induce spesso il paziente a interrompere la terapia e cercare piuttosto soluzioni chirurgiche per risolvere il problema una volta per tutte. Le tecniche ultra mini invasive, invece, danno più sollievo dai sintomi e riducono al minimo l’impatto sulla qualità della vita post operatoria del paziente, in particolare sulle funzioni eiaculatorie, che restano imprescindibili soprattutto per i giovani”.
Gli ‘stent prostatici’
Ma in che cosa consistono e quali sono queste procedure chirurgiche ultra mini invasive? “Tra le più diffuse – aggiunge Francesco Porpiglia, Ordinario di Urologia dell’Università degli Studi di Torino e responsabile dell’ufficio scientifico SIU – c’è anzitutto l’utilizzo di Stent intraprostatici temporanei al nitinol (introdotti per via endoscopica, vengono rimossi dopo 5 giorni), che tramite forze elastiche incidono il tessuto e risolvono l’ostruzione prostatica (trattamento i-TIND). Ci sono poi dispositivi permanenti che, come fossero piccoli tiranti ancorati all’esterno della prostata, comprimono l’adenoma e dilatano l’uretra, migliorando cosi il flusso dell’urina (tecnica Urolift)”.
Il vapore acqueo e il laser
E non è tutto. Per risolvere chirurgicamente l’iperplasia prostatica benigna, oggi si ricorre a nuove fonti di energia disponibili per la maggior parte dei pazienti affetti da adenoma di prostata di dimensioni medio-piccole, eseguibili in regime di day-hospital tramite il Sistema Sanitario: “Per esempio il vapore acqueo ad alta temperatura, che viene iniettato all’interno della prostata tramite uno speciale manipolo endoscopico, determinando la morte delle cellule dell’adenoma quindi distruggendolo (tecnica Rezum) – spiega Roberto Mario Scarpa, direttore dell’Unità Operativa complessa al Policlinico Universitario Campus Biomedico di Roma e presidente SIU –. Un’altra nuova fonte di energia è quella del laser: viene sprigionata all’interno della ghiandola prostatica attraverso fibre ottiche introdotte per via percutanea, porta il tessuto dell’adenoma a necrotizzarsi, determinando quindi una riduzione del volume della ghiandola con conseguente disostruzione (trattamento SoracteLite)”.
Le terapie ultra mini invasive possono essere eseguite in ambito ambulatoriale o di day hospital, tramite il servizio sanitario nazionale. Un aspetto cruciale in un periodo come quello che stiamo vivendo. “L’altissimo numero di italiani che soffrono di questa patologia ha comportato e comporta una pressione sulle strutture ospedaliere, tuttora in difficoltà per fronteggiare le conseguenze dell’emergenza pandemica – osservano gli esperti SIU –. Nell’ultimo periodo, infatti, tutte le società scientifiche hanno indicato di posporre non solo la chirurgia elettiva correlata all’iperplasia prostatica benigna o alle sue complicanze, ma anche le semplici prestazioni ambulatoriali, con un conseguente accumulo di pazienti già meritevoli di trattamento negli anni passati e che non sono stati trattati a causa dell’emergenza, ai quali si aggiunge circa un 12% in più che è andato incontro ad un peggioramento clinico durante gli ultimi mesi. In un contesto simile, l’adozione di tecniche ultra mini invasive può rappresentare una chiave di volta per affrontare e gestire meglio la situazione”.