(ANSA) – POZZILLI, 22 SET – In alcuni pazienti affetti da
ipertensione arteriosa, il danno alle strutture nervose inizia
molto presto, ancor prima che siano comparsi segni clinici di
deterioramento cognitivo o che la risonanza magnetica
tradizionale possa identificare alterazioni evidenti a carico
del cervello. Una ricerca condotta dal Dipartimento di
Angiocardioneurologia e Medicina Traslazionale dell’Irccs
Neuromed di Pozzilli evidenzia ora come sia possibile
individuare precocemente le alterazioni nervose che potranno
portare alla demenza vascolare. Lo studio ha utilizzato un
particolare metodo di risonanza magnetica, la risonanza
magnetica funzionale a riposo, o ‘resting-state fMRI’. Questo
esame, eseguito su una persona completamente a riposo e non
impegnata in alcun compito, permette di evidenziare le
attivazioni neuronali nel tempo, cioè i pattern di attivazione
dei network attraverso i quali le diverse aree cerebrali
scambiano informazioni e si coordinano.
“Studiando 19 pazienti ipertesi, e confrontandoli con 18
soggetti non affetti da questa condizione – spiega Lorenzo
Carnevale, primo firmatario del lavoro scientifico – abbiamo
potuto vedere una serie di alterazioni in alcuni network
cerebrali, in particolare quelli che rispondono agli stimoli
visivi, decidono la risposta a questi stimoli e quindi la
eseguono. Sono funzioni che richiedono una stretta
sincronizzazione, che invece negli ipertesi appare disturbata”.
Proprio questi cambiamenti funzionali sarebbero il primissimo
segno di un danno determinato dall’elevata pressione arteriosa.
“Anche se in questa fase il paziente può non essere consapevole
del danno cerebrale e del deterioramento cognitivo in atto –
aggiunge – pensiamo che una serie di test specifici e dedicati
(valutazione cognitiva e neuroimaging avanzato con rs-fMRI)
possa evidenziare le sottili alterazioni in atto, che riteniamo
possano aiutarci a individuare chi ha un rischio maggiore di
evoluzione verso la demenza vascolare”.
“Mentre gli effetti acuti dell’ipertensione sul cervello,
come nel caso dell’ictus, sono ben noti da tempo – commenta
Giuseppe Lembo, docente ordinario dell’Università Sapienza di
Roma e responsabile del Dipartimento di Angiocardioneurologia e
Medicina Traslazionale del Neuromed – c’è anche un danno
cronico, progressivo e silenzioso, che può colpire le funzioni
cognitive. Ricordiamo che nel 50% dei casi di demenza si
riscontra una patologia vascolare. Per questo è importante che i
clinici possano avere a disposizione strumenti migliori per
determinare se un paziente iperteso sia a rischio di evoluzione
verso il declino cognitivo, in modo da affrontare nel modo più
adeguato la situazione”. (ANSA).
Fonte Ansa.it