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Sì alla noia, nelle giuste dosi fa bene. “E’ essenziale perché spinge a migliorarci”

Tutti l’abbiamo sperimentata. E quasi sempre cercato di fuggirla. Una perdita di tempo, socialmente riprovevole, pure poco instagrammabile. Ma, sorpresa, la noia esiste perché ha una funzione fondamentale: ci serve per evolvere, è motore di cambiamento.

Non è vero che «solo le persone noiose si annoiano», piuttosto ognuno si annoia a modo suo. Resta il fatto che è un campanello d’allarme per dirci che la mente è impegnata in qualcosa che non soddisfa il bisogno di essere coinvolti ed efficaci. Andrebbe quindi ascoltata. In ogni caso cancellarla avrebbe effetti nefasti. Lo dicono gli studiosi James Danckert e John Eastwood, espertissimi del tema, autori del libro «Out of My Skull» (Harvard University Press), testo definitivo sulla noia che, oltre a ripercorrerne la storia (segnarselo: il primo a utilizzare la parola «boredom» per identificare un sentimento è stato Charles Dickens nel romanzo «Bleak House»), combina scoperte scientifiche con osservazioni quotidiane. E che esce durante il limbo della pandemia, terreno fertile per simili esperienze.

Intanto, che cos’è la noia? È il desiderio di un desiderio, la sensazione che manchi qualcosa, anche se non si sa cosa, ed è voglia di agire, ma di non voler fare nulla in particolare. Non un vero e proprio sentimento, ma più simile a un processo cognitivo da non confondere con la frustrazione – che implica un desiderio che non si è realizzato – e con l’apatia, la mancanza di desiderio. Non è un difetto e non c’entra con il carattere. E anche se esiste dall’origine dell’uomo è diventata un fenomeno di massa in tempi moderni.

Esperimenti recenti mostrano che qualcosa di simile lo provano anche gli animali e quindi non è un costrutto interamente sociale. Inoltre, ci si annoia diversamente a seconda delle fasi della vita. Tantissimo da bambini e soprattutto i maschi con un picco tra i teenager, poi a calare fino intorno ai 50 anni, e in ripresa dopo i 60, specialmente tra le donne. «La noia è un argomento affascinante, che intrufola i suoi tentacoli in campi diversi, dalla filosofia all’antropologia, fino a letteratura, religione, teologia. Ma come scienziato non ero convinto che tutti usassero il termine allo stesso modo», racconta al «Guardian» Eastwood, a capo del Boredom Lab della York University di Toronto (un laboratorio della noia, con un «claim» che suona come il titolo di un film di Michel Gondry: «Exploring the unengaged mind»), dove i ricercatori la studiano dal punto di vista sociale, clinico e cognitivo, con la finalità di applicare poi le loro scoperte al mondo reale, per esempio evidenziando il legame con la creatività (brutte notizie: non ci sono molte prove empiriche che la noia la scateni) o per capire come migliorare l’attenzione e i processi di apprendimento. E dove fanno anche cose bizzarre: uno dei laureandi si è specializzato nel dirigere brevi film molto monotoni per annoiare le persone a scopo di ricerca, il più riuscito: due uomini che stendono il bucato in una stanza spoglia borbottando banalità.

Eastwood racconta di essersi appassionato a questi studi dopo aver osservato un’apparente «crisi di attività» tra i suoi giovani pazienti: scostanti, refrattari a lanciarsi nella vita. Danckert, neuroscienziato cognitivo australiano ora all’Università di Waterloo in Ontario, invece voleva guarire se stesso, perché odiava questa esperienza: «La trovavo frustrante». Ed è in buona compagnia. Una ricerca dell’università della Virginia, coinvolgendo centinaia di volontari, ha dimostrato che la maggior parte delle persone sfuggirebbe alla noia a qualunque costo. I partecipanti sono stati lasciati in un laboratorio per 15 minuti: potevano scegliere se schiacciare un bottone e somministrarsi scosse elettriche piuttosto che restare soli con i loro pensieri. Ecco, la maggior parte (67% degli uomini e il 27% delle donne) opta per la scarica e un uomo si è dato addirittura la scossa 190 volte.

Ma cercare di sfuggire alla sensazione di disagio che può provocarvi la noia, invece di interrogarsi su ciò che cerca di dirci, è sbagliatissimo, e spesso le distrazioni adottate come antidoto sono peggio: dalla bulimia di social media a quella alimentare, dallo shopping compulsivo all’abuso di sigarette e droghe. Eastwood e Danckert non danno tutte le colpe alla tecnologia, che però è una comoda distrazione: guardarsi un film su Netflix, chattare, scrollare Twitter sono attività che costano pochissimo sforzo ma che ci soddisfano anche poco. E ciò che ci tiene impegnati solo superficialmente tende addirittura ad aumentare la monotonia. Mentre la sfida che la noia ci pone è capire cosa sarà significativo e utile nella vita. «Così come è fondamentale sopportare il dolore per tenerci al sicuro, è importante possedere la facoltà di annoiarci, perché ci salva della stagnazione. Ci fa andare avanti e cercare un modo migliore per impegnarci». Ecco che cos’è la noia: un segnale fastidioso che ci avverte della necessità di fare qualcosa per evolvere.

Fonte www.lastampa.it

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