Un farmaco diverso per ogni malattia? Questo è stato il passato, è il presente e sarà il futuro della medicina. Ma, se alcune opportunità sono consolidate dalla pratica clinica, per le sfide irrisolte si guarda in un’altra direzione: quella dei farmaci multispecifici.
Si tratta di «passepartout» che hanno l’obiettivo di curare gruppi di malattie. È questa, secondo Raymond Deshaies, vicepresidente della ricerca della multinazionale farmaceutica Amgen, «la nuova frontiera dell’innovazione»: così l’ha definita su «Nature», dove ha compiuto un’analisi delle classi di farmaci multispecifici e del loro meccanismo d’azione. Lo scenario appare promettente, sebbene le sfide per trasformare in realtà questa strategia siano molteplici.
A differenza dei farmaci convenzionali, che colpiscono un bersaglio considerato specifico per una malattia, i multispecifici sono progettati per avere meccanismi d’azione diversi, come quello di «induzione di prossimità»: agiscono come «chiavi» in grado di adattarsi a molteplici serrature.
«Sono intermediari molecolari: inducendo la vicinanza tra i loro target e gli enzimi o le cellule, i multispecifici producono effetti capaci di superare quelli dei farmaci convenzionali»: a raccontarlo è Deshaies, biochimico, con un passato all’Università della California. Quello in atto, secondo lui, non è un solo un miglioramento della progettazione dei farmaci. Ma un «cambiamento radicale»: si parte dall’individuazione dei bersagli e poi, una volta capito come far reagire l’organismo nei confronti del marcatore della malattia, si avvia lo sviluppo della molecola.
Sono due le principali classi di multispecifici: i primi potenziano l’effetto di un altro farmaco, i secondi, da soli, permettono al sistema immunitario di aggredire un bersaglio terapeutico. Questi ultimi sono considerati i più interessanti, in quanto consentono l’accesso a proteine alterate che non vengono prese di mira dai farmaci «standard».
Tra i farmaci, alcuni hanno una lunga storia. La svolta si è verificata quando è stato analizzato il meccanismo d’azione: è il caso del Talidomide, usato negli Anni 60 per ridurre le nausee nelle gestanti e poi bandito, una volta scoperta la sua attività immunomodulatoria è stato utilizzato nel trattamento di lebbra, mieloma multiplo e malattia di Crohn. E ha dato il là allo sviluppo di altre molecole con un’azione simile (lenalidomide e pomalidomide).
Discorso analogo per due immunosoppressori, tacrolimus e sirolimus: sono applicati nella terapia post-trapianto d’organo, dopo che è stato scoperto il modus operandi della ciclosporina, il primo anti-rigetto. E i multispecifici appaiono promettenti anche in oncologia con la messa a punto di anticorpi per promuovere l’aggressione dei linfociti T ai danni delle cellule tumorali. —