Uno studio durato dieci anni e promosso dalla Food and Drug Administration ha rivelato una correlazione tra tumori ed esposizione alle radiazioni elettromagnetiche emesse dai cellulari. Chissà con il 5G cosa succederà?
(Il Post)
Il National Toxicology Program, un gruppo di lavoro delle autorità sanitarie statunitensi, ha pubblicato i risultati di un importante studio sulla possibile correlazione, nei topi e nei ratti, tra il cancro e certe radiazioni elettromagnetiche paragonabili a quelle prodotte in passato dai telefoni cellulari. I ricercatori hanno osservato, nei ratti maschi, una percentuale più alta del solito di tumori al cervello, al cuore e alla ghiandola surrenale: ma è un risultato che dev’essere compreso insieme al suo contesto.
Negli anni sono state eseguite centinaia di ricerche scientifiche, su animali ed esseri umani, per verificare se le onde radio emesse dai cellulari possano essere nocive. Nella grandissima parte dei casi questi studi non hanno trovato un nesso causale tra l’esposizione ai telefonini e particolari malattie, come i tumori. Questo studio presenta invece qualche tipo di correlazione. John Bucher, uno degli scienziati del National Toxicology Program, ha detto: «Crediamo che la correlazione tra RFR [radiazioni a radiofrequenza] e i tumori sia reale, almeno nei ratti maschi».
Il National Toxicology Program ha però ricordato che i risultati sugli animali non possono essere direttamente applicati agli esseri umani, innanzitutto perché “i livelli di esposizione e la durata sono state maggiori di quelle a cui la maggior parte delle persone si sottopone usando dei telefoni cellulari”, e poi perché i ratti e i topi hanno ricevuto le radiazioni su tutto il corpo, “mentre gli umani sono sottoposti alle radiazioni in modo localizzato: quando un cellulare è in tasca o vicino al loro orecchio”.
Lo studio – commissionato dalla Food and Drug Administration, che vigila sulla salute umana – è durato più di 10 anni ed è costato circa 30 milioni di euro. Fu fatto partire durante l’amministrazione di Bill Clinton e ha riguardato più di tremila tra ratti e topi. I ratti e i topi sono stati sottoposti a radiazioni con una frequenza di 900 megahertz, tipiche dei cellulari di seconda e terza generazione (2G e 3G), diffusi soprattutto negli anni Novanta. Oggi usiamo cellulari di quarta generazione (4G) e ci si aspetta che intorno al 2020 arrivino i cellulari 5G: funzionano con frequenze molto più alte, che penetrano meno nel corpo umano. La quarta generazione è emersa all’inizio di questo decennio ed è diventata uno standard a partire dal 2012, dopo non poche difficoltà sul mettere d’accordo governi, operatori e produttori di telefoni sulle frequenze e i sistemi da utilizzare.
Lo studio insomma è attendibile, ma richiede alcune importanti precisazioni: e non solo perché è stato condotto sui ratti e non sugli esseri umani, e come abbiamo visto i risultati non sono automaticamente replicabili, e perché sono state usate radiazioni a frequenze oggi sempre meno diffuse. Per prima cosa, è stato fatto esponendo gli animali alle radiazioni per nove ore al giorno, un tempo superiore a quello che moltissime persone passano al telefono. Il National Toxicology Program (NTP) ha aggiunto poi che le radiazioni usate per lo studio «sono ancora in uso solo per le chiamate e i messaggi», e non per tutte le altre attività per cui usiamo il cellulare. Inoltre, le radiazioni usate sono più potenti di quelle emesse dai cellulari di allora: le più basse tra le radiazioni usate su topi e ratti erano pari al massimo consentito per legge per i cellulari; le più potenti erano invece quattro volte più forti del limite consentito per legge. Insomma: lo studio ha trovato alcune correlazioni tra il cancro e l’esposizione dei soli ratti maschi per una lunga durata a radiazioni in genere molto più potenti di quelle massime consentite, e che negli anni sono comunque via via diventate sempre meno usate.
Il National Toxicology Program classifica le evidenze di ciò che mostrano i suoi studi in quattro categorie principali: “chiara evidenza”, “qualche evidenza”, “evidenza ambigua” e “nessuna evidenza”. Riguardo ai risultati del suo studio, ha scritto di aver ottenuto:
• Chiara evidenza di tumori al cuore nei ratti maschi. Tumore maligni noti come neurinomi.
• Qualche evidenza di tumori al cervello nei ratti maschi. Tumori maligni noti come gliomi.
• Qualche evidenza di tumori alle ghiandole surrenali. Tumori noti come feocromocitomi.
Nel caso di femmine di ratti e di topi (sia maschi che femmine) ci sono invece state evidenze ambigue rispetto alla correlazione tra tumori e radiazioni a radiofrequenza. È normale, spiegano gli esperti, che i risultati possano essere diversi tra topi e ratti, e tra maschi e femmine, anche perché ratti e topi sono stati sottoposti alle radiazioni in modo diverso: i ratti sin da quando erano nell’utero; i topi dalla loro quinta settimana di vita. I tipo sono stati sottoposti a radiazioni da 2,5 a 10 watt per chilogrammo (contro gli 1,5-6 watt per chilogrammo dei ratti).
I risultati dicono che una percentuale tra il 2 e il 3 per cento di ratti maschi sottoposti alle radiazioni ha sviluppato un tumore al cervello, mentre nessuno dei ratti nel gruppo di controllo ha avuto un simile tumore. Il tumore al cervello sviluppato nei ratti è un tipo di tumore per il quale, negli uomini, non è stato osservato nessun aumento negli ultimi decenni, quelli successivi all’arrivo e alla diffusione di massa dei telefoni cellulari. Nel caso di tumori al cuore, la percentuale per i ratti maschi è cresciuta del 5-7 per cento.